Uno dei nomi storici toscani passa da Folonari al giagnte Usa
SIENA. La notizia ufficiale è solo di pochi giorni fa, ma già da febbraio era data per certa: la Ruffino, uno dei nomi storici del vino italiano e toscano fin dal 1877, cambia proprietà, passando dalla famiglia bresciana Folonari al gigante statunitense Constellation Brands. Questo gruppo, proprietario di oltre 100 famosi marchi internazionali nel settore delle bevande alcoliche e da molti anni distributore negli Stati Uniti dei vini Ruffino, ne aveva acquisito pochi anni fa il 49,9% .
I motivi della cessione sono principalmente legati alla eccessiva frammentazione della proprietà tra le nuove generazioni Folonari e quindi alla crescente difficoltà di raggiungere accordi sulle decisioni strategiche più importanti. Tuttavia è anche probabile che le recenti crisi economiche nei mercati fondamentali per quel marchio, abbiano contribuito ad accelerare questa decisione. A quanto si sa, il prezzo di cessione è di 50 milioni di Euro. In più la Constellation Brands si farebbe anche carico di una situazione debitoria della Ruffino di 55 milioni di Euro.
La vendita riguarda sia la proprietà del marchio che le cantine e lo stabilimento di imbottigliamento di Pontassieve. Le sette fattorie della Ruffino rimarranno invece nelle mani della famiglia Folonari. Tuttavia un contratto di affitto obbligherebbe per 20 anni la Constellation Brands ad acquistare tutti i vini da esse prodotti.
Prima della sua cessione, la Ruffino comprendeva , nella parte agricola , sette tenute per un totale di circa 600 ettari di vigneti; la sua produzione di vino annua, quasi interamente proveniente dai suoi vigneti, ammontava a circa 15 milioni di bottiglie, distribuite per il 50% negli Stati Uniti.
Questi sono, ad oggi, i fatti e le cifre. E le prospettive per il domani?
Un’analisi di quanto successo nel passato ci dovrebbe aiutare nell’azzardare qualche ragionevole previsione. Ebbene: gli avvenimenti degli ultimi 35-40 anni ci mostrano che, con l’eccezione di Villa Banfi a Montalcino, (ma qui la situazione era profondamente diversa), tutti gli investimenti vinicoli effettuati in Italia da grandi gruppi internazionali, specie statunitensi, non hanno avuto successo. Basta ricordare l’acquisto della “Barone Ricasoli” e del marchio Brolio da parte della Seagram’s negli anni ’70, fortunatamente conclusosi con il loro riacquisto da parte della famiglia Ricasoli con l’aiuto di un gruppo di investitori.
E come dimenticare la storia delle cantine e del marchio Bolla di Verona, acquisiti dalla americana Brown Forman, produttore di super-alcolici nel Kentucky e riportati in Italia nel 2008 dal gruppo Italiano Vini? Uguale discorso per i marchi Melini e Serristori, assorbiti negli anni ’80 dal gigante internazionale (con capitali italiani esportati) Wine&Food e poi riconquistati negli anni ’90 dallo stesso Gruppo Italiano Vini.
Il discorso è diverso se, invece di aziende vinicole, si parla di marchi di super alcolici, cioè di prodotti non legati alla terra e riproducibili in stabilimenti di qualsiasi paese. Pensate, per esempio, alla Martini&Rossi ed alla Cinzano, marchi ormai felicemente emigrati all’estero.
Insomma, il passato sembra suggerirci che il mondo parcellizzato, complesso,spesso caotico, sovente imprevedibile del vino in Italia, sia poco adatto ai criteri di pianificazione, gestione e razionalizzazione di uomini e risorse, tipici dei grandi gruppi internazionali. Potrà la Ruffino essere l’eccezione che conferma questa regola?