Un pensiero che porta verso nuove alleanze, che tiene conto del futuro, aperto e dialettico
MONTALCINO. “Per saper bere ci vuole forza d’animo, magnanimi lombi, ampia cultura e nervi saldi. … In breve, fare del bere non un atto di smodata irriflessione, ma un esercizio intellettuale, e quindi un’arte”*
Quanti di quelli che in questi giorni si sono ritrovati ad assaggiare un Rosso o un Brunello, si riconoscono nelle parole del semiologo di cui ci sentiamo orfani?
Che un’ampia cultura sia il requisito irrinunciabile per capire un vino colto, non è strano da scrivere; semmai è più strano chi dissocia due mondi che – da sempre – si compenetrano e dialogano tra di loro; e mi ha sorpreso sentirlo declamare, poco più di un anno fa, proprio a Montalcino, da una persona che scrive di vino.
Credo invece che quelli che sono giunti fin qui da tutto il mondo per incontrare vino e produttori – parlano, assaggiano, visitano, osservano – in questa terra così bella che viene quasi da rammaricarsi per la fama acquisita, non siano affatto sprovvisti di strumenti culturali. Se non ci fosse, sotto e dentro, qualcosa di ben più complesso delle papille gustative di chi beve e dei profumi del vino, non ci sarebbe nemmeno l’emozione. E guai a chiamarla ‘valore aggiunto’, perché l’emozione è gratuita e prevede qualcuno che la provi (e qualcun altro che l’ascolti).
Anche se impressiona sentir parlare della quotazione dei vigneti, dei prezzi dello sfuso, dei passaggi di alcune proprietà più o meno note o chiacchierate da una mano all’altra, riconoscere il valore di vini come questi è sempre un’operazione culturale, un giudizio che tiene conto di molti paragrafi e tanti sentimenti. Poi tutti sanno che il futuro è cambiato e le prospettive che credevamo sicure, immobili, sono scivolate via. Tutti intuiscono che gli scambi di carta sono diventati inaffidabili e molti sospettano che la terra valga più del denaro.
Se poi la terra è bella, è buona, e offre frutti che emozionano, allora l’assaggio di un vino è davvero un esercizio intellettuale, insomma un’arte. Ma tutto questo non basta a farci sentire sicuri; se siamo consapevoli dei cambiamenti, sappiamo anche che non si può restare a crogiolarsi nelle situazioni favorevoli: bellezza e bontà vanno alimentate, nutrite, curate. Non solo per fronteggiare i mercati, per alimentare il fatturato, ma per assumersi la responsabilità di cambiare in modo armonioso, cioè in modo evoluto, in un mondo che non è più quello che credevamo fosse.
Perché vivere in un luogo fuori dall’ordinario richiede sensibilità e comportamenti etici, ma non solo per poterli rivendicare. Proprio come l’amore – perché di amore si tratta – diventa un sentimento reciproco, che transita da noi alla terra e dalla terra ci ritorna. Credo che ci sia anche questo legame nel paesaggio di Montalcino, non solo i numeri del vino e della terra. E credo anche che non sia più sufficiente spendere (giustamente) parole d’orgoglio per risultati raggiunti. Le scommesse sono cambiate, per chi vede anche un po’ più in là, dove la crescita ha cambiato accezione, dove ambiente, sostenibilità, energia, acqua, non sono più – è urgente capirlo – parole del gergo elettorale; bisogna guardare più in là dove il suolo è la pelle di nostra madre e gli alberi i capelli della terra. Con uno spirito simile, di certo non espresso in termini così candidi e privi di remore, è nata Montalcino Bio. E se non di solo sentire si tratta, com’è ovvio, si può affermare che a Montalcino c’è finalmente una riflessione che va oltre i meri criteri del business vecchia maniera.
Un pensiero che porta verso nuove alleanze, che tiene conto del futuro, aperto e dialettico. A Montalcino, l’11 marzo, dalle 9 del mattino, nella sede di OCRA – Complesso di Sant’Agostino – .
*Umberto Eco – Shaker, il libro dei cocktail – Amilcare Pizzi Editore 1961