VinExpo appare come un meccanismo ormai perfettamente oliato
di Gianfranco Campione
VinExpo appare come un meccanismo ormai perfettamente oliato. All’esterno, la interminabile linea degli edifici affacciati sul lago (c’è perfino un lungo ponticello pedonale che lo attraversa), con ampi spazi per passeggiate e varie tende che ospitano locali dove sostare durante le lunghe giornate di lavoro.
Questo se non si ha la fortuna di essere invitati in uno dei lussuosi tendoni delle grandi marche di Champagnes e di alcuni famosi Chateaux. All’interno c’è un fluire ininterrotto di persone che danno l’impressione di muoversi secondo itinerari ben studiati. Il confronto con la vivacità estemporanea e spesso casuale dei visitatori al VinItaly non potrebbe essere più forte. Un po’ come paragonare una stazione ferroviaria con un albergo per convegni a quattro stelle.
Certo non tutto fila sempre liscio. Per esempio, il traffico lungo il raccordo anulare di Bordeaux (la così detta Rocade) , indispensabile per raggiungere la Fiera, può riserbarti spiacevoli sorprese, con soste impreviste e ritardi mattinieri anche di due ore. Però l’accesso è strettamente limitato agli operatori commerciali, i quali hanno di regola un taccuino di appuntamenti accuratamente preparato.
La presenza degli espositori italiani mi è apparsa piuttosto massiccia e visibile perché concentrata. In particolare, la Regione Toscana era ben rappresentata dai vari Consorzi. Non sappiamo però se i risultati a fine Fiera abbiano giustificato, almeno in parte, gli investimenti. L’impressione è che soltanto i produttori dotati di consolidate relazioni internazionali e di buona capacità di pianificazione ne abbiano beneficiato.
Passeggiando tra gli stand appare impressionante il numero di visitatori asiatici, molto probabilmente in gran parte cinesi. Fino a pochissimi anni fa i cinesi della Repubblica Popolare si distinguevano dagli altri asiatici (cino- americani, Hong Kong, Vietnam, Singapore, Formosa…) per un atteggiamento a volte impacciato, per il modo di vestire piuttosto uniforme e quasi sempre “ fuori moda”. Oggi queste differenze visibili di costume e di costumi sono completamente scomparse: i visitatori cinesi visti al Vinexpo sono spesso giovanissimi, con una forte presenza femminile e vestiti in modo casuale, secondo gli ultimi dettami della moda internazionale.
Un’occhiata alle cifre 2010, rilasciate dalla stampa del settore, ci conferma questa esplosione dell’Oriente.
Per quanto riguarda i consumi di vino per paese, l’Italia rimane al primo posto, malgrado una leggera diminuzione dello 0,5% rispetto al 2009. Al secondo posto , con un distacco di solo il 2% dall’Italia, gli Stati Uniti. Al terzo posto la Francia, anche lei in declino (del 2,2%) rispetto al 2009.
Sapete chi occupa il sesto posto? Proprio la Cina, che nel 2010 ha aumentato del 34% i suoi consumi raggiungendo un livello pari al 42% di quelli registrati in Italia.
I calcoli sono semplici: tra uno o due anni gli Stati Uniti supereranno i consumi dell’Italia; tra cinque/sei anni la Cina dovrebbe superare quelli degli Stati Uniti, installandosi al primo posto.
Per quanto riguarda le esportazioni, il 2010 è andato per l’Italia decisamente bene: con 141 milioni di casse da 12 bottiglie vendute è al primo posto nel mondo (+ 4,3% rispetto al 2009). La tallona molto da vicino la Francia con 130 milioni di casse (+ 2,5% sul 2009); terza l’Australia, con quasi 78 milioni di casse (-1,7% sul 2009).
Eppure, malgrado i dati globali di vendita piuttosto positivi rispetto all’anno precedente, molti produttori italiani sono in forte difficoltà. Come si spiega questo apparente paradosso? Prima di tutto con la continua crisi del mercato interno, che penalizza quanti non si sono organizzati in tempo per i mercati di esportazione. Poi c’è il forte spostamento, in tutti i mercati maturi (Europa e Stati Uniti), dei canali di consumo: crescono le vendite dei vini acquistati nei negozi (soprattutto attraverso la grande distribuzione) e consumati a casa , mentre diminuiscono i consumi nei ristoranti, nelle trattorie e negli alberghi. Questo fenomeno, tipico dei momenti di crisi, provoca la forte sofferenza di tutti quei produttori (in genere di dimensioni medio-piccole) che avevano privilegiato questo canale per la diffusione dei loro marchi. Perciò la situazione avvantaggia gli imbottigliatori di larghe dimensioni, abituati a trattare con le grandi catene di acquisto sia in Italia che all’estero e ulteriormente facilitati dal crollo dei prezzi dello sfuso.
Sottolineo che questo quadro si riferisce ai mercati maturi (Europa e Stati Uniti) o a quelli in via di saturazione (come la Russia). L’Estremo Oriente, e in particolare la Cina, ne sembra escluso. Qui la richiesta dei vini di produttori famosi, dei grandi crus Bordolesi e Borgognotti, continua imperterrita. Al punto che , per quanto riguarda i grandi vini di Bordeaux, (parlo di non più di 300 nomi su un totale di circa 11.000 produttori) quest’anno si prevede un aumento dei prezzi intorno al 50%. Col rischio di perdere i grandi mercati tradizionali (Stati Uniti e Regno Unito in primis) guadagnati dopo anni di sacrifici.
Ma finchè la Cina tira, i grandi nomi di Francia non sembrano preoccuparsene.