L'inchiesta, che ha coinvolto 1.456 enonauti (amanti di vino & web), ha indagato sulle opinioni degli appassionati su vitigni e territori. Di fronte alla scelta tra varietà italiane e internazionali, le risposte evidenziano un netto schieramento in favore dei vitigni nazionali, preferiti dall'83%. Solo il 17% afferma di privilegiare varietà internazionali. Nella "top 10" dei vitigni italiani più amati si piazza il Sangiovese (31% delle preferenze), tallonato, a breve distanza, dal Nebbiolo (29%); a seguire Barbera (10%), Aglianico (9%), Montepulciano d'Abruzzo (5%), Nero d'Avola (4%) e Sagrantino (3%). Gli amanti del buon bere non si limitano, però, ai soliti noti e, dimostrando profonda conoscenza e curiosità verso l'enorme patrimonio ampelografico del Belpaese, citano tra le varietà predilette Greco, Tocai, Corvina, Verdicchio, Negroamaro, Fiano, Cannonau, Primitivo, Lambrusco, Dolcetto, Prosecco, Refosco, Grillo, Malvasia e molte altre.
Ma l'identità di un vino non nasce solo dalle uve con cui viene fatto: il 71% di chi ha risposto al sondaggio Winenews-Vinitaly ritiene "fondamentale" il rapporto tra vitigno e territorio. Per il 27% questo binomio è "molto importante", e solo il 2% lo definisce "abbastanza importante". Infatti è proprio grazie al territorio che il vitigno è capace di esprimere al meglio le sue potenzialità, adattandosi alle differenti condizioni climatiche e alle diverse caratteristiche dei terreni. Il Sangiovese, da questo punto di vista, rappresenta un esempio di vitigno molto sensibile al variare di queste caratteristiche: capace di esprimere sempre il proprio carattere fondamentale, ma declinandolo con sfumature diverse a seconda dei territori in cui viene coltivato (per esempio, il Sangiovese di Montalcino è diverso da quello della Costa Toscana o da quello del Chianti Classico, ma tutti e tre sono espressioni fedeli, riconoscibili ed originali delle sue potenzialità).
Daniele Cernilli, direttore del Gambero Rosso, tra i più importanti esperti di vino in Italia, sulla scelta autoctoni/internazionali, commenta: "ferma restando l'importanza dei vitigni di casa nostra, mi piace mantenere un atteggiamento aperto, direi "laico". Quindi ben vengano, in certi casi, anche gli internazionali, che in realtà sono tutti di origine francese. Non dimentichiamoci che il Merlot in Toscana viene coltivato fino dal Seicento …"
Ma quale è secondo gli enonauti la denominazione italiana che meglio esprime l'unione tra vitigno autoctono e territorio? Il 33% ritiene che sia l'accoppiata Barolo e Langhe, seguita da Chianti Classico e Chianti (19%); l'11% vota Brunello e Montalcino; l'8% Barbaresco e Langhe. A seguire l'Amarone con la Valpolicella, il Sagrantino e Montefalco, il Prosecco e Conegliano e Valdobbiadene.
Insomma, dal sondaggio Winenews-Vinitaly, emerge chiaramente che, secondo gli enonauti, il vitigno è senz'altro un elemento centrale dell'alchimia di un vino, ma non può sopportare da solo il peso dell'identità di una grande etichetta. Il vitigno, infatti, è solo una delle componenti del celeberrimo concetto di "terroir", una definizione di origine francese ormai universalmente accettata che comprende come altre sue imprescindibili entità le caratteristiche geo-morfologiche del terreno, le condizioni climatiche e naturalmente l'opera dell'uomo.
E, proprio una riflessione sul concetto vitigno/territorio, rivolta in particolare al Sangiovese, la varietà più diffusa e amata nel nostro Paese, è al centro del convegno "Uguali perché diversi. Il Sangiovese che verrà", il 4 dicembre a Suvereto (Livorno) alla cantina Petra, promosso dal gruppo Terra Moretti. Del Sangiovese e delle sue varietà si discuterà attraverso un approccio multidisciplinare che chiama in causa esperti di climatologia, di sociologia dei consumi, di viticoltura, di storia e di estetica del paesaggio.