Finalmente lo sguardo di un'azienda importante è andato più in là. A Montalcino
di Silvana Biasutti
MONTALCINO. Anche se finiscono tutti nello stesso modo, questi tre sostantivi hanno un significato differente l’uno dall’altro. Ma da sempre ho potuto constatare che nessuno, nel mondo del vino, pareva accorgersene. Del resto, l’Italia è anche il paese in cui, ancora negli anni 60′, chi fabbricava un tostapane era fermamente convinto di poter fare la campagna pubblicitaria per lo stesso tostapane. E la regola non era valida solo per i tostapane, ma per tutti i generi di prodotti. Poi però sono sbarcati gli americani e le cose sembravano cambiate; anche se l’Italia era (è) rimasta il paese del sarcasmo, e i clienti italiani delle pur brillanti agenzie di pubblicitå hanno da sempre faticato a capire che per tradurre in campagna pubblicitaria una pur efficace strategia di comunicazione oltre alla profonda conoscenza del prodotto, del profilo del suo consumatore ideale e dei suoi punti di forza e di debolezza, (nonché una serie di strumenti e talenti indispensabili) occorre anche avere il talento dell’ironia, che ė come l’ordito di un bel tessuto. E non è davvero il caso che mi metta a raccontarvi qui come e perchè.
E ora, che sono trascorsi più di cinquant’anni da quell’epoca innocente, non sono più gli industrialotti nostrani, ma tutta l’umanità che gira dentro e nei dintorni delle numerosissime stanze della politica a essere convinta di “sapere la comunicazione”, anzi, di esserne l’incarnazione, confondendo una verità incontrovertibile (tutti comunichiamo) con un’attività ad alto tasso esperienziale che è la comunicazione professionale, nelle sue declinazioni – tutte sinergiche tra loro – orientata a raggiungere obiettivi a cui il prodotto, da solo, nudo e crudo, messo sul mercato non è in grado di parlare.
Da sempre sono però convinta che i vini, i grandi vini soprattutto, non abbiano bisogno di “pubblicità”, perché non sono un prodotto “qualsiasi” (anche se, commercialmente, obbediscono alle regole che ogni impresa si dà per stare sul mercato). I vini, come i libri, sono “prodotti diversi”, con caratteristiche intrinsecamente creative, anche quando escono da grandi aziende. In più, un vino è “edito” da un terroir che ė l’alchemica espressione di un incontro tra la visione dell’uomo, una terra speciale (e irripetibile), un clima, e una pianta. Insomma il valore è già lì dentro, c’è solo da dargli lo spazio che si merita e che gli conviene nell’immaginario che gli è più consono. La pubblicità invece, che è il motore di valori che vanno ad aggiungersi a quelli di un prodotto – spesso molto simile a un suo concorrente -, con il vino non c’entra niente. C’entrerebbe, ma solo perché avrebbe a che fare con il bere responsabile, con la cultura e lo sviluppo di una terra, e con tutta una serie di comportamenti e attività che con il vino hanno collegamenti più o meno scoperti, ma il nostro paese non ha lo spazio mentale e non capisce che promuovere comportamenti etici non può che generare gratitudine da parte di pubblici intelligenti, che di solito sono anche consumatori più interessanti e imitati e di conseguenza creare un clima positivo per il fatturato.
Confesso che non vi avrei somministrato questo lungo ragionamento se non avessi ricevuto una telefonata molto stimolante, perché portatrice di una notizia che sembrava confidenziale, ma di cui avrete già letto nei blog più attenti ai territori in cui si produce vino. Infatti un’importante azienda agricola di Montalcino ha affidato la propria comunicazione a un professionista, a un vero professionista della comunicazione. Ero abituata a sentir parlare di comunicazione in modo improprio, o un po’ vago, da grandi imprenditori o da consulenti, che producono, o hanno grandi e delicatissime responsabilità nella nascita di vini meravigliosi, ma per la prima volta una grande azienda – impegnata in operazioni di reale rinnovamento e valorizzazione – ha capito che una cosa è saper fare vino, conoscere la terra, parlarne in modo coinvolto e con il massimo della competenza durante una degustazione, o in una trattativa con il trade o con clienti significativi, o in un’intervista, ben altro è invece mettere in moto le dinamiche della comunicazione e tutti gli strumenti connessi, per dare luce a quel vino e alla sua terra, sul filo di una strategia complessa, avendo all’orizzonte non solo le crescite di fatturato, ma anche la reputazione e le proiezioni nel futuro di consumi in forte evoluzione.
Mi sono congratulata con chi ha avuto questo incarico delicato e appassionante, ma soprattutto ho avuto un soprassalto di piacere nel capire che finalmente lo sguardo di un’azienda importante è andato più in là, oltre il bellissimo paesaggio in cui è immersa, per connettersi con tutto ciò che può significare assaggiare un vino e innamorarsi. Perché c’è tanto da scoprire in quel bicchiere, sorso dopo sorso.