A dirlo è l'enologa francese Valerie Lavigne, consulente delle cantine toscane di Donatella Cinelli Colombini
MONTALCINO. L’affermazione è di quelle che fanno discutere soprattutto perché arriva da una francese come francesi sono le barriques che hanno imperversato nelle cantine italiane negli ultimi dieci anni. A parlare è Valerie Lavigne, la nuova strepitosa enologa delle cantine toscane di Donatella Cinelli Colombini. Docente della più celebre università di enologia del mondo, quella di Bordeaux, la Lavigne è consulente, insieme a Denis Dubordieu e Christophe Olivier, in alcune delle più importanti cantine del mondo come gli Châteaux d’Yquem, Margaux e Cheval Blanc.
“Più il vino è concentrato e ricco di composti fenolici meglio sopporta i piccoli contenitori in legno. Ma anche se il vino resiste a un eccesso di legno non è detto che sia giusto imporglielo”. Da questo assunto iniziale Valerie sviluppa la sua filosofia per i grandi rossi di Montalcino “Il Brunello deve affinare in botte almeno due anni. Per una conservazione così lunga, il produttore deve scegliere il contenitore che gli permette di beneficare dei vantaggi associati all’utilizzo del legno (ossigenazione, chiarificazione, apporto aromatico e gustativo) preservando contemporaneamente la personalità del vino (frutto, freschezza e equilibrio). Il legno non deve sovrastare il vino, deve rimanere un supporto, un'”épice””.
Ecco arrivare il suo giudizio “Questo obiettivo si ottiene meglio utilizzando le botti”.
E’ la perfetta armonia, il tratto distintivo dei grandi vini, che l’enologa francese intende privilegiare nel Brunello e per ottenerla propone alcune regole d’oro: se il vino deve cambiare contenitore durante il suo affinamento in legno è preferibile iniziare con piccoli fusti e proseguire poi con quelli più grandi. Il bisogno di ossigeno decresce infatti col passare del tempo. Ma ancora una volta insiste sui tonneaux (5 hl) e sulle botti che “permettono meglio delle barriques (specialmente se vecchie) di preservare gli aromi del vitigno Sangiovese della Toscana evitando che la secchezza dei tannini disturbi l’equilibrio del vino”. Il riferimento è a quel finale leggermente amaro che la Lavigne chiama “secco” presente in molti vini toscani di Sangiovese e poco apprezzabile da un punto di vista qualitativo.
Viva le botti dunque. Un’affermazione che sembra un ritorno al passato e contiene invece elementi di novità nel maggiore rispetto dell’identità culturale del vino, inoltre parte da motivazioni scientifiche ineccepibili.
Un approccio in sintonia con l’entusiasmo manifestato da Valerie Lavigne per i vitigni autoctoni – Sangiovese e Foglia Tonda .
Durante la sua ultima visita nelle cantine di Donatella Cinelli Colombini, avvenuta dal 23 al 25 novembre, l’enologa francese ha assaggiato i vini della vendemmia 2010 giudicandoli strepitosi.
La sua ultima scoperta è il Sagrantino importato dalla vicina Umbria (18 km) nei vigneti della Fattoria del Colle di Trequanda che, a suo parere, può essere un ottimo partner per il Sangiovese nei vini prodotti nel Sud della Toscana.
Le botti e i vitigni autoctoni italiani hanno dunque un nuovo portabandiera ed è motivo di orgoglio sapere che è francese.