Il Vitiarium si è sviluppato in una serie di concreti progetti
di Gianfranco Campione
SIENA. Questa settimana vorrei parlarvi del VITIARIUM, due ettari che rappresentano un autentico gioiello della sperimentazione viticola, collocati nell’antico e pittoresco Borgo di San Felice, a meno di 20 chilometri da Siena. Se ancora conservate un dizionario di latino dai tempi della scuola e lo aprite alla voce Vitiarium , leggerete: “Semenzaio, raccolta di piante di vite”. Questa parola fu scelta oltre 20 anni fa dall’Azienda Agricola di San Felice, per battezzare uno straordinario programma di ricerche e sperimentazioni , condotto nei loro vigneti in collaborazione con l’Università di Firenze, a partire dal 1983.
Ma che cosa è, concretamente, il Vitiarium? E’ una collezione di quasi trecento vitigni “minori”di uva bianca, rossa e rosata, reperiti nei più antichi vigneti della Toscana, classificati e ripiantati in pochi esemplari su una splendida vigna di San Felice orientata a sud-ovest. Nel mondo viticolo toscano , e soprattutto in quello chiantigiano, questi vitigni secondari venivano un tempo familiarmente chiamati “Viziati “. Si tratta di un patrimonio genetico di valore straordinario, che ci racconta tutta la lunga storia della viticoltura toscana.
Oggi, la continua razionalizzazione delle operazioni in vigna e la rapida diffusione dei vigneti specializzati ha portato la viticoltura a concentrarsi su poche varietà, sempre più diffuse e conosciute.
Ebbene: la vitignoteca (non cercate questa mia orrenda ma necessaria parola nel nuovo dizionario della Treccani!) del Vitiarium ci garantisce che questo prezioso patrimonio ereditato non scomparirà.
Le varietà collezionate, oltre a un valore storico-culturale, presentano spesso anche un interesse legato al linguaggio ed alle tradizioni contadine. Qualche esempio di nomi, per farvi anche sorriderei: Canina, Crepallocchi, Farinella, Gallizzone,Ingannacane, Lugliola. E poi ancora: Occhio di Pernice, Palle di gatto, Piscialletto, Pisciona, Poverina. E per concludere: Pulcinculo, Raponcello, Schioccoletto, Strozzaprete, Tenerone, Volpola, Zuccaccio.
Questa straordinaria collezione esercita da circa venti anni una grande attrazione sia nel mondo degli esperti del settore che tra i semplici appassionati del vino provenienti dai principali paesi produttori. Nel 1997 una famosa pubblicazione svizzera del settore (la rivista Vinum) condusse un test tra circa 400 dei suoi lettori, proponendo al loro giudizio quattro vini provenienti da micro vinificazioni del Vitiarium.
E’ probabile che molti senesi ignorino tuttora l’esistenza di questo tesoretto. E qui mi sento, giustamente, arrivare l’obiezione semplice ma fondamentale di chi sulle vigne ci ha lavorato e vissuto per generazioni. ”Bello! Ma mi pare solo una esercitazione da studiosi appassionati; un progetto di cultura piacevole, ma senza alcuna utilità pratica”.
Vorrei subito tranquillizzare questi dubbiosi. Il Vitiarium si è sviluppato in una serie di concreti progetti di cui già beneficiano o potranno godere numerose realtà produttive del territorio. Nel corso degli anni, attraverso una serie di micro vendemmie sperimentali, è stata identificata una serie di 25-30 vitigni da lungo tempo dimenticati, con un alto potenziale qualitativo. Parlo di vitigni come l’Abrostine, il Brunelletto, il Chiantino, il Foglia Tonda e, soprattutto il Pugnitello (per le uve a bacca rossa) o della Volpola (per le uvea bacca bianca). Queste varietà contribuiranno certamente in futuro a rafforzare il patrimonio viticolo del nostro territorio, sia in uvaggio col Sangiovese che in purezza.
Oggi, la continua razionalizzazione delle operazioni in vigna e la rapida diffusione dei vigneti specializzati ha portato la viticoltura a concentrarsi su poche varietà, sempre più diffuse e conosciute.
Ebbene: la vitignoteca (non cercate questa mia orrenda ma necessaria parola nel nuovo dizionario della Treccani!) del Vitiarium ci garantisce che questo prezioso patrimonio ereditato non scomparirà.
Le varietà collezionate, oltre a un valore storico-culturale, presentano spesso anche un interesse legato al linguaggio ed alle tradizioni contadine. Qualche esempio di nomi, per farvi anche sorriderei: Canina, Crepallocchi, Farinella, Gallizzone,Ingannacane, Lugliola. E poi ancora: Occhio di Pernice, Palle di gatto, Piscialletto, Pisciona, Poverina. E per concludere: Pulcinculo, Raponcello, Schioccoletto, Strozzaprete, Tenerone, Volpola, Zuccaccio.
Questa straordinaria collezione esercita da circa venti anni una grande attrazione sia nel mondo degli esperti del settore che tra i semplici appassionati del vino provenienti dai principali paesi produttori. Nel 1997 una famosa pubblicazione svizzera del settore (la rivista Vinum) condusse un test tra circa 400 dei suoi lettori, proponendo al loro giudizio quattro vini provenienti da micro vinificazioni del Vitiarium.
E’ probabile che molti senesi ignorino tuttora l’esistenza di questo tesoretto. E qui mi sento, giustamente, arrivare l’obiezione semplice ma fondamentale di chi sulle vigne ci ha lavorato e vissuto per generazioni. ”Bello! Ma mi pare solo una esercitazione da studiosi appassionati; un progetto di cultura piacevole, ma senza alcuna utilità pratica”.
Vorrei subito tranquillizzare questi dubbiosi. Il Vitiarium si è sviluppato in una serie di concreti progetti di cui già beneficiano o potranno godere numerose realtà produttive del territorio. Nel corso degli anni, attraverso una serie di micro vendemmie sperimentali, è stata identificata una serie di 25-30 vitigni da lungo tempo dimenticati, con un alto potenziale qualitativo. Parlo di vitigni come l’Abrostine, il Brunelletto, il Chiantino, il Foglia Tonda e, soprattutto il Pugnitello (per le uve a bacca rossa) o della Volpola (per le uvea bacca bianca). Queste varietà contribuiranno certamente in futuro a rafforzare il patrimonio viticolo del nostro territorio, sia in uvaggio col Sangiovese che in purezza.