di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. A volte, mentre la storia si fa davanti ai nostri occhi, noi siamo intenti a vivere il nostro quotidiano ed a stento ci accorgiamo di quanto davvero accade. Di quanto tutto ciò che viviamo sarà degno di nota e finirà, raccontato con tutti i dettagli, in qualche libro di attualità o magari anche in qualche saggio per studenti di breve o lungo corso.
La tragica scomparsa di David Rossi, in quella sera del 6 marzo 2013, sarà ricordata per lungo tempo. Sarà al centro di discussioni da bar o di duri confronti tra “storici”. Tra i soliti complottisti ed i sempre poco stimolanti conservatori. L’inchiesta si è riaperta. E l’appuntamento di sabato scorso, in quel vicolo diventato oramai tristemente noto, è stato l’apice di una sceneggiatura che forse non conoscono neppure gli autori.
La simulazione della caduta, senza manichino, ha permesso, forse, di comprendere quello che a molti era apparso lampante fin dalla prima visione del video di quella sera. Quella caduta non sembra per nulla compatibile con una caduta volontaria. Il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Davide Vecchi, in un articolo che lascia l’amaro in bocca, riporta le parole del colonnello dei Ris, Davide Zavattaro: “La caduta non può essere avvenuta così come descritta negli atti”. Una frase agghiacciante. Che conferma i dubbi fino ad oggi sostenuti dalla famiglia, da alcuni dei commentatori di fatti senesi e pure da diversi giornali nazionali e internazionali. Agghiacciante perchè scarica il peso di tre anni di immobilità della magistratura di fronte a quello che si avvicina sempre più ad essere un omicidio. Agghiacciante perchè se non ci fosse stata la famiglia, se questa non avesse fatto breccia su gruppi parlamentari (il Movimento 5 Stelle), se non avesse avuto la tenacia di insistere contro un muro di gomma, oggi non sapremmo, da voci autorevoli come Zavattaro, che le linee tracciate dall’inchiesta inziale non rispondevano a quanto emerge adesso; che si è perso tempo e che solo oggi, dopo tre anni, si cercano tracce di Dna sul luogo della tragedia; che addirittura la finestra da cui Rossi sarebbe “caduto” potrebbe non essere quella del suo ufficio ma quella dell’ufficio dell’ad Fabrizio Viola; che occorre, per esserne certi, rivedere con attenzione – attivando un facile principio della fisica – il video di quella sera.
“I tecnici cercheranno di calcolare la velocità di caduta del corpo studiando il video registrato dalle telecamere di sorveglianza sul vicolo: 7 frame al secondo. Ma per farlo servirebbe la bobina originale sequestrata il mattino dopo la morte in versione digitale ARV mentre quelle consegnate dai magistrati alle parti sono in AVI, un formato accelerato. Bobina che è repertata agli atti ma che sembra sparita dalla procura. E senza la registrazione originale sarà impossibile calcolare la velocità di caduta del corpo e, quindi, impossibile stabilire da quale altezza è caduto e da quale finestra”, scrive ancora Vecchi. La cosa preoccupante è che possano sparire – se è vero – oggetti repertati e conservati in Tribunale. La cosa meno preccupante è che, secondo alcuni commentatori della vicenda, l’analisi della bobina che hanno le parti, e quindi il calcolo della velocità di caduta del corpo, grazie anche alla tecnologia sempre più raffinata, si potrebbe fare lo stesso.
Oggi, 36 anni fa, la strage di Ustica. Nessuna verità definitiva per quella storia. Una storia costata la vita a 81 persone. Non so perchè questa concomitanza di date mette i brividi e lascia troppo spazio al timore sul reale raggiungimento della verità sul caso Rossi.
Nessuna verità, ancora, neppure sulla vicenda Mps. Procedimenti in corso, nessun “pentito”, nessuna voce che si solleva tra quelle che “sanno”. Neppure dalla commissione regionale d’inchiesta arrivano stupefacenti rivelazioni, Anzi… dichiarazioni fittizie, fintamente informate, vaghe e rispettose dello stesso copione. Il consigliere Bezzini è la prova lampante dell’esistenza del “copione”: Antonveneta un errore, un azzardo all’alba di una crisi senza precedenti. Se c’è stato di più lo dirà qualcun altro… Beh, grazie! Questo lo poteva dire un qualsiasi militante del Pd senese, ben istruito ma senza alcun ruolo istituzionale – e senza amici altolocati. Dall’ex presidente della Provincia di Siena, amico di Franco Ceccuzzi e vicino, molto vicino alle stanze del potere, ci saremmo aspettati di più. Segno che il tempo non è davvero cambiato. E se è vero quanto scriveva ieri Laura Vigni sul suo profilo FB – senza smentite fino ad oggi – e cioè che anche Franco Ceccuzzi sarebbe stato invitato a parlare davanti alla Commissione regionale d’inchiesta e che avrebbe rifiutato, il quadro appare chiaro. Siamo ancora tutti sotto scacco. Siamo ancora vittime (a tratti consapevoli) di un controllo che non si è indebolito, come pensavamo ingenuamente. Ha solo mutato pelle. Si è appena nascosto nell’ombra lasciando la platea ad un nutrito gruppo di attori scarsi e poco preparati ma fedeli o quantomeno obbedienti alle direttive del momento.
Ed il teatro regna sovrano in questi nostri giorni. Proprio accanto alla storia ma più urlato, più invadente; sguaiato nei modi e vistoso nell’aspetto caricaturale. Dovremmo tutti essere ormai capaci di distinguerlo dalla realtà dei fatti ma… forse anche questo non è del tutto esatto. E’ il caso della Sansedoni Spa. Un ente florido alla nascita, ben strutturato, ricco di immobili di pregio e invidiabile, proprio com’erano la Fondazione Mps e la banca. Dopo una lunga e decisamente poco brillante presidenza, Luca Bonechi lascia. E lo fa con toni d’orgoglio, quasi da salvatore della patria. Sempre colpa della crisi, sempre colpa di altri e più lontani (ed anche poco chiari) responsabili: destino avverso, mercati malati, congiuntura mondiale. Dimenticate le inchieste di Report. Dimenticate le sue parole – sempre troppo arroganti e poco votate alla trasparenza – di fronte alla videocamera di Paolo Mondani. Dimenticate le discussioni in Fondazione Mps e dimenticati pure i debiti coperti con le vendite di “gioielli di famiglia” e il danno causato alla Fondazione Mps e al suo tesoretto. Adesso si cede tutto il pacchetto e tutti dobbiamo essere contenti che la società sia diventata appetibile da parte di fondi o di altre società. Come essere felici di liberarci di una casa che era un tesoro e riuscire a farlo dopo aver ristrutturato il tetto ed averla messa sul mercato ad un costo ben inferiore rispetto a quanto valeva prima.
Da tutte e tre le vicende alla politica il passo è breve, fin troppo breve. Perchè la politica, il potere ed i soldi ad essa strettamente annessi, rientra in tutti i “casi” affrontati.
Cosa accade alla politica senese? Nulla di nuovo, in verità. Le partite si giocano sempre con le stesse regole. L’interesse è puntato sempre e solo sull’individualismo più sfrenato. Chi vuole fare carriera in politica adesso si fa carico di un comitato per il “Sì”. Hai visto mai riceve qualche pacca sulla spalla da Renzi. E chi se ne importa se questo referendum è giusto oppure no. Come se “cambiamento” volesse dire necessariamente “miglioramento”. Scaramelli si è sprecato parecchio per i comitati del “Sì”. Ci ha messo dentro di tutto: dai renziani della prima ora a figure rampanti e disposte a tutto pur di stare dalla parte del potere o anche solo sulla scena, in quell’occhio di bue che basta per dire “io sto dalla parte di chi conta”.
Del resto, stare accanto a Stefano Scaramelli non è un fatto irrilevante ai fini della delineazione del proprio futuro professionale. Pamela Fatighenti, segretaria del Pd chiusino, per esempio, di carriera ne sta facendo. Vicepresidente Lfi, segretario comunale del Pd a Chiusi e, in queste ore anche – ma non è ancora ufficiale – vicepresidente di Intesa. Il suo nome è anche nella convocazione dell’assemblea dei soci della Cooperativa Solidarietà come “ratifica del consigliere cooptato”. Infine, tanto per non far mancare una nota di colore, autrice delle brocche per l’ultima Festa del Barbarossa a San Quirico d’Orcia. E scusate se è poco.
Da tutto questo qualcuno, chicchessia, riesce a scorgere un qualche cambiamento reale all’interno della politica senese? Qualcuno riesce, anche mestamente, a sostenere che ci sono segnali di vera rivoluzione, di un qualche cambiamento di rotta? Quella famosa rottamazione che doveva partire molto dall’alto all’interno del Pd è mai realmente avvenuta? Io scommetto sul “No”…. e pronunciare un sonoro “No”, in questi tempi di storia volgarmente mista a teatro, può essere davvero liberatorio… e molto, molto gratificante…
Ma scordatevi la carriera!