Quante verità esistono su quanto è accaduto in questa città?
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. A Siena c’è sempre, imperterrita, l’usanza di guardare il dito che indica la luna. E quella povera luna, che pure si ostina a brillare, in un cielo scuro e senza stelle, sono in pochi (ma sempre di più), a filarsela.
Dopo la puntata di Report su Mps, proprio come avvenuto un paio d’anni fa, si è scatenato il putiferio. Commenti su commenti: battibecchi tra chi lamenta l’assenza della citazione del PD (ma Mondani non ha rinfacciato tale appartenenza al sindaco?), chi si dichiara inorridito, nauseato, dalle ipotesi scaturite dall’inchiesta, e chi difende il programma dagli attacchi dei soliti, tediosi, incomprensibili sostenitori della teoria del “frullato diffamatorio”.
Pare, ancora una volta, che per alcuni l’origine dei mali di Siena non sia nata, cresciuta e pasciuta tra le mura della città; non abbia covato e prodotto i suoi nefasti frutti nelle austere sale di qualche palazzo del centro; non abbia corrotto tanti con le sue lusinghe e non abbia “convinto” altri con favori a vario titolo o con minacce all’occorrenza. Pare, a detta di questi fasulli difensori della senesità, che dei giornalisti malandrini si divertono a “sputtanare” Siena e la sua banca, con il chiaro intento di danneggiarla e mandare a casa i suoi dipendenti (ma questo non lo sta già facendo, peraltro egregiamente, il management della banca? Di gente mandata a casa ce n’è già stata tanta. Così tanto impegno, ci è stato messo, che alcuni top manager si sono sentiti di permettersi un lauto aumento di stipendio). Ovviamente, i giornalisti stranieri sono sempre stati sostenuti da traditori inside. Blogger o giornalisti non allineati al pensiero unico. Tafazzisti e gufi all’occorrenza. Portatori di sfiga e addirittura émaleauguranti di professione perché invidiosi o perché feriti dall’esclusione alla lauta mensa (!).
Seguendo la tesi del “siamo più realisti del re”, certi figuri si accaniscono contro coloro che pretenderebbero, una volta per tutte, la verità su quanto accaduto negli ultimi 15 anni, perdendo di vista – scientemente o meno – l’obiettività dei fatti. Un accanimento che supera di gran lunga quello del re stesso, che tra una gaffe e l’altra, sceglie toni più cerchiobottisti per commentare il programma della Gabanelli.
Domenica sera, con una serie di dati concreti, si è parlato dei derivati Alexandria e Santorini; sono stati smentiti, carte alla mano, gli attuali vertici che avevano dichiarato di aver scoperto il mandate agreement del primo solo all’apertura della cassaforte dell’ex Ad Vigni. Si è avuto modo di comprendere l’origine di quei derivati e i “magheggi” fatti sui bilanci della banca. Milioni di euro usciti dalla rocca come un fiume in piena, senza che alcuno si curasse di porre un freno. Si è gettata ulteriore luce sui comportamenti “insoliti” della banca d’Italia e della Consob; su quanto gli organi di vigilanza siano stati latitanti – se non correi – di quanto stava avvenendo ad una delle banche più solide d’Europa. E si è, infine, lanciata la notizia, attraverso una figura “celata”, di quattro conti aperti allo Ior durante l’affare Antonveneta, intestati a quattro enti religiosi che avevano il chiaro scopo di far transitare denaro non tracciabile. Una notizia dirompente che, trascurando i rapporti tra Mps e Ior, già venuti alla luce, ripropone la domanda: “perché ed a chi ha giovato questo passaggio di denaro?”.
La notizia dirompente, ovviamente, non poteva passare inosservata all’ex presidente di Mps, condannato in primo grado a tre anni e sei mesi nel processo su Alexandria. Poche ore fa è infatti giunta la notizia del mandato ai suoi avvocati per querelare la Gabanelli. Il vizietto di querelare, il Mussari non se l’he tolto… ma sarà colpa della forma mentis degli avvocati. Ed anche una certa qual fiducia – oltre che diretta conoscenza – nella procedura giudiziaria italiana. Quella che arriva a far prescrivere vicende come quella dell’eternit, con buona pace di chi è morto o è sul punto di morire. Quella che assolve tutti dall’incendio della Curia e che proprio non riesce a notificare un atto al fondo Galaxi per l’affare Ampugnano.
Quella che vuole farci credere che David Rossi si sia suicidato. E noi ci avremmo anche creduto se non avessimo visto, con i nostri occhi, gli spezzoni della registrazione della videocamera del Monte quella sera del 6 marzo 2013. Dalla traiettoria della caduta all’inquietante figura che si staglia in fondo alla strada e non si avvicina a quel corpo che giace supino; da quel “grave” che cade un quarto d’ora dopo, a quegli accessi fatti al pc in un ufficio che doveva essere sotto sequestro.
Invece no. Non crediamo alle mezze verità o alle quasi totali menzogne che fino ad oggi ci sono state propinate dai protagonisti delle vicende senesi degli ultimi quindici anni. Non ci crediamo e non ci arrendiamo alla filosofia dei mediocri (o dei collusi) che vogliono passare il Rubicone senza bagnarsi il risvolto dei pantaloni. Non ci piace l’idea di una città che pone le basi della sua rinascita in una palude che ancora aspetta di essere bonificata. Troppo “amica” del passato e puerilmente offesa da chi gli rinfaccia anni di quiescenza e indifferenza al destino collettivo.
“Bischeri”, dice Mondani al sindaco Valentini. E lui, di rimando, gli dà ragione. “Un po’, sì”. Dovremmo riderci sopra, fare spallucce. L’imbarazzo era tanto e le posizioni decisamente indifendibili. Ma il sindaco ha dimenticato che, in questa città, non tutti potevano annoverarsi nella schiera dei bischeri. In diversi avevano denunciato, gridato, scritto, contro il sistema che stava divorando la città in un vortice di corruzione, arrivismo e clientelismo. Pochi, forse, troppo pochi e certamente male organizzati per poter contare qualcosa, per poter fare paura a qualcuno. Carichi di querele, venivano derisi perché tanto si fa presto a gonfiarsi il petto davanti a chi non ha altre armi se non la propria dignità e la propria voce. Forse Valentini, del bischero se l’è dato da solo. Lui, iscritto al partito di maggioranza, sindacalista in Mps, non si è mai accorto di nulla, non ha mai fatto clamore per il suo (ora) manifesto disgusto nei confronti dei suoi compagni di partito, che hanno saputo tessere il “groviglio armonioso”. Se è vero, come è vero, che non sono mai stati espulsi dal Pd e, anzi, ultimamente, sono stati pure giustificati perché, anche loro, inconsapevoli. Non è stato mandato neppure a casa il presidente della Sansedoni Immobiliare, Luca Bonechi. “La gestione s’è gestita bene”, dice il presidente dell’ente in netta perdita. Il vaso di Pandora che nessuno ha ancora il coraggio di aprire. La colpa è sempre della crisi, ovviamente, e non certo della “fallimentare gestione”. Persino la banca si è ritirata dalla partecipazione in Sansedoni. Ma lui, il presidente, resta imperterrito al suo posto e gli amici di partito, sindaco in testa, tacciono.
E’ una Siena che non ha il coraggio di rialzarsi, additare i colpevoli e scrollarsi di dosso i poteri forti che l’hanno resa schiava, quella che umilia davvero. Quella che non si accorge che non è più il tempo del clientelismo di bassa lega, perchè tutto è stato spolpato e non resta nulla. E’ la Siena che non sa chiedere scusa e farsi da parte, quella che indigna. Perché, nel profondo (e neppure tanto) molti senesi sono consapevoli – proprio come il deputato della Fondazione Mps Sergio Betti – che nulla è cambiato. Che nonostante gli scandali, i bilanci in rosso, la perdita di un patrimonio irrecuperabile, la città non ha saputo prendere la strada del cambiamento, rimanendo ostaggio dei soliti noti; di quel Sistema Siena che continua, imperterrito, a nutrirsi della menzogna, delle strategie comunicative studiate a tavolino e, economicamente parlando, di quel poco che resta.Dopo due anni di rivelazioni, di colpi di scena, di giornalisti “stranieri” a spasso per le lastre, l’atmosfera della città resta caratterizzata da una cappa di omertà. Un silenzio che non nasce dalla difesa dei propri valori, ma dalla incapacità manifesta di difenderli, quei valori tanto sbandierati.
Neppure la morte è riuscita a far sobbalzare la dignità di tanti. Neppure un presunto omicidio, probabilmente mascherato da suicidio. Neppure questo ha smosso il desiderio di verità. Quella vita di David Rossi in bilico tra vagonate di soldi per sponsorizzazioni ed un ufficio (scoperto adesso) presso il Ministero degli Interni, allora diretto da Giulio Amato. A puntare l’attenzione su questa notizia è stato un deputato del Pd, Federico Gelli, che chiede al ministro dell’Interno di chiarire “se risponde al vero quanto rivelato dalla trasmissione Report, sull’esistenza di un incarico di lavoro presso strutture del Viminale affidato all’ex capo della comunicazione di Banca Mps, David Rossi”. Una verità che potrebbe spingere gli inquirenti a riaprire il caso, archiviato come suicidio.
Si può costruire una Siena migliore? Una Italia migliore? Noi continuiamo a credere che sia possibile. Occorre coraggio, determinazione, rispetto degli altri, altruismo, civismo ed eroismo. L’eroismo delle persone perbene che non hanno bisogno di segreti per amministrare e che non credono di fare un viaggio da soli nel segno del cambiamento. E neppure di fare da guida o da maestro. Persone che non temano la verità e che non arretrino dietro al potente di turno. A Siena (e in giro per l’Italia) persone come queste ce ne sono, eccome. E’ la verità che manca. Oggi come un anno e mezzo fa…