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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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La missione di Karem dalla Palestina

Bloccato ad Haifa ci mostra su Instagram quello che pochi hanno il coraggio di dire

di Raffaella Zelia Ruscitto

SIENA. Era prima del 2006, prima che nascesse il Cittadinoonline.it. A Siena c’era Il Cittadino, quotidiano cartaceo. Io ero una semplice redattrice con tanta voglia di scrivere. Un giorno, in redazione, arrivò un personaggio curioso. Statura media, magrissimo, con occhi scuri e capelli neri. Un incarnato olivastro ed un naso importante. Zaino in spalla e macchina fotografica al collo. Era Mbadda Rohana, fotografo palestinese. Il mio spirito goliardico lo travolse e spesso ci trovavamo a chiacchierare, tra un appuntamento ed un altro. Lui, palestinese cristiano, sposato con una toscana, con il suo fare lento e metodico (ma non per questo meno caotico), scattava foto e raccontava eventi che segnavano le giornate di un giornale di provincia.

Poi il cartaceo è scomparso e ci siamo persi di vista. Qualche incontro casuale, qualche “missione” per il Cittadino e poche occasioni per parlarci come un tempo.

Fino ad un giorno fa. La notizia che suo figlio, Karem Rohana, si trova in Palestina mi ha sorpreso. Il suo profilo Instagram karem.dalla.palestina ha fatto numeri straordinari di visualizzazioni dei suoi post negli ultimi giorni. L’altro profilo, quello precedente karem_from_haifa, è stato bloccato per tre volte e per tre volte riaperto. Adesso richiuso perchè basta una segnalazione da parte di un utente “fascista” che si silenziano le voci fuori dal coro.

I racconti di Karem, che hanno suscitato molto interesse nella community di Instagram, sono stati notati anche dalla stampa nazionale, che lo ha contattato per conoscere la sua condizione di italiano (cresciuto a Siena dall’età di 3-4 anni, ed attualmente residente a Firenze), che non può tornare a casa, in Italia, a causa della guerra in corso. Lui stesso in un post racconta che, contattato da La7 sarebbe dovuto andare in diretta, ma che poi, a causa di “problemi tecnici” la diretta è saltata. Lui, non islamico, non tacciabile di essere antisemita (è stato fidanzato con una ebrea israeliana), ateo, di padre cristiano, parla e informa e ci racconta cose che ci sono “sfuggite” o peggio, che nessuno ha osato dire. Noi, povere vittime dell’informazione non equidistante! 

Se volete avere un punto di vista differente seguite il suo canale Instagram e scoprirete tante, tante informazioni che potrebbero far oscillare il vostro personale ago della bilancia, che prima pareva nettamente o quasi da una parte. 

Ma quello che mi preme, adesso, è aprire uno squarcio sull’informazione.

Giornalisti, inviati di guerra, occhi sul mondo e penne come pistole. In tanti, in questi anni, si sono interrogati sul ruolo dell’informazione, come strumento di consapevolezza collettiva e di cultura; elemento imprescindibile per garantire una sana democrazia, un pluralismo che tenesse acceso il confronto e la crescita sociale e morale. Tutto vero, tutto sacrosanto. Peccato che qualunque sacra idea nata dall’uomo, l’uomo stesso sia capace di farla degenerare, piegandola ai suoi peggiori istinti.

Come è accaduto in tanti casi per la democrazia, così è accaduto per l’informazione in un destino che non ha mai separato l’una e l’altra.

Dove regna una democrazia malata, lì la stampa è totalmente, o quasi, soggiogata al volere del capo. Gli esempi lampanti sono sotto gli occhi di tutti: dalla Russia alla Cina, dalla Turchia all’Iran e finte democrazie andando…

Ma non è finita qui. Magari fosse. Esiste da decenni, o forse da secoli, una parimenti drammatica situazione che vede delle fulgide democrazie (almeno sulla carta) affiancate da libera stampa che poi tanto libera non è. A scavare bene, a voler vedere, il duro mestiere del giornalista viene “ammorbidito” da opportuni compromessi che facilitano, e di molto, il lavoro, “arricchendolo” di nuovi contenuti. E così, pur vigendo la libera stampa, ecco che chi la pratica racconta una storia che piace “alla gente che piace”. La verità si allontana e tutti (o quasi) si adattano ad una realtà modellata ad arte.

In Italia, al 58° posto rispetto al 41° posto del 2021 nella classifica mondiale RSF sulla libertà di stampa (e ci hanno graziato!), abbiamo imparato così bene che riusciamo a fare intere trasmissioni televisive contrapponendo chi, apparentemente, la pensa diversamente, così ci mostriamo pluralisti… restando smarcatamente di parte! Degni eredi di quel Totò che, in una pellicola favolosa, vendeva ad un povero ingenuo la Fontana di Trevi!

Esiste ancora la libera informazione? Sì, esiste. Ma non condiziona l’opinione pubblica. La libera informazione bisogna andarsela a cercare. Bisogna sapere dove cercare e, fatto fondamentale, occorre lasciare sempre acceso il cervello, perché tutto, ma proprio tutto, deve essere soppesato da un profondo senso critico e analitico.

Da una ventina di giorni a questa parte vige il pensiero unico secondo il quale Israele ha ragione “senza se e senza ma” e se qualcuno esprime delle perplessità o addirittura si oppone a questo principio è tacciato di antisemitismo. Anche solo questo timore pare aver creato una cappa di autocensura che fa rabbrividire. Lo stesso Ordine dei Giornalisti, solo qualche mese fa pare abbia sottoscritto un documento presentato dall’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) che restringe, di molto, la possibilità di critica ad Israele.

E così l’informazione è tutta schierata dalla parte di Israele e le censure sono già partite. A parte il senese Karem Rohana ha fatto scalpore l’esclusione di Patrick Zaki, giovane arrestato in Egitto con l’accusa di aver diffuso notizie false, dal parterre di invitati da Fazio a Che tempo che fa in versione Nove. La sua “colpa”? Essersi schierato dalla parte dei palestinesi ed aver definito Netanyahu un serial killer. Anche il Salone del Libro di Torino, che dovrebbe essere coacervo di menti eccelse, ha ceduto alla tentazione del pensiero unico e così, pur rimangiandosi l’esclusione di Zaki dall’evento – paventata in prima battuta – l’ha solo spostata di location.

Due esempi – ma molto significativi – di quanto ha da lavorare in questo periodo il manovratore del pensiero unico!

Tutti gli Stati occidentali sono dalla parte di Israele, Europa compresa. Per non parlare degli Stati Uniti che, tra le altre cose, proprio due giorni fa hanno bloccato con il veto una bozza del Consiglio di Sicurezza dell’inascoltata quanto inutile ONU, in cui veniva chiesto di “rallentare” i lanci delle bombe su Gaza per consentire gli accessi degli aiuti umanitari verso una popolazione allo stremo.

Tutti con la memoria corta, tutti disinformati. Tutti ignari della deriva neonazista del Governo Netanyahu (lo so, anche a me fa strano associare alla parola “ebrei” la parola “nazisti”, ma mi sono arresa all’evidenza). Tutti privi di obiettività e di memoria. Tutti all’oscuro delle politiche sempre più “suprematiste ebraiche” rivolte alla “pulizia etnica” della Striscia di Gaza, della Cisgordania e della stessa Israele dai palestinesi (più esteso “arabi”) e non a conoscenza delle continue confische di terre, fatte anche – e soprattutto – con la violenza da parte di coloni israeliani contro palestinesi inermi. Nulla sanno, i potenti della Terra, dei rappresentanti del Governo israeliano, quali il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che si occupa, tra le altre cose, anche del Cogat (ente che sovrintende i Territori Palestinesi) e che, non più tardi di qualche mese fa aveva addirittura negato l’esistenza del popolo palestinese, dicendo che lo stesso sarebbe “un’invenzione del secolo scorso in funzione antisionista”. Per non parlare dell’estremista Itamar Ben-Gvir che viene da frange distintesi per razzismo e violenza e che in casa ha il ritratto di un serial killer macchiatosi dell’uccisione di 29 musulmani che pregavano in una moschea.

La memoria corta non fa bene a nessun popolo e per questo è bene ricordare che a marzo le piazze di Tel Aviv erano rigonfie di gente che protestava contro le politiche sempre meno democratiche di Netanyahu e che, fortunatamente per lui e per i suoi ministri, adesso, esiste un Governo unito (maggioranza e opposizione) contro Hamas ed ogni protesta è stata sedata dal richiamo al nemico comune, dalla commozione per le vittime, dalla paura per il destino degli ostaggi.

E’ bene sapere tutta la storia per potersi fare un’opinione. E’ bene chiedere la pace consapevoli che il percorso per ottenerla passa dal superamento di individui offuscati dall’odio, che non si trovano solo da una parte e che vengono chiamati terroristi solo quando non hanno un “potere alle spalle”, ma che hanno stessa ignobile matrice.

Infine, è bene conoscere, informarsi, capire e diffondere la conoscenza per non cadere nel tranello dell’informazione di massa e tentare (ma è difficile tenere viva la speranza) di sovvertire i piani di chi ci controlla e ci vorrebbe indirizzare come gregge belante.

Chiedere la pace vuol dire chiedere la dignità e l’autodeterminazione di due popoli e di due Stati che devono avere uguale riconoscimento. E mentre chi potrebbe imporsi per ottenere questo risultato manda navi militari al largo della striscia di Gaza, tanta gente muore (non mi importa di che popolo sia) ed il prezzo di quelle vite non lo pagherà nessuno.  In “Se questo è un uomo” Levi ci invitava, raccontandoci la sua tragica esperienza nei lager nazisti, alla vigilanza civile e morale, affinché mai più nella storia si potesse ripetere che uomini privassero altri uomini della loro dignità, arrivando a deumanizzarli per sterminarli senza troppi rimorsi. Levi non parlava solo degli ebrei, ma parlava dell’uomo nella sua infinita varietà di etnie e popoli.

A quante altre atrocità dobbiamo assistere prima di imparare la lezione?

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