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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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La hybris di Siena e la punizione divina

di Raffaella Zelia Ruscitto

SIENA. Quando vale tutto e il contrario di tutto, si fa fatica a trovare un qualche filo conduttore, dei sassolini bianchi, che possano condurci fuori dal bosco intricato in cui ci troviamo. Eppure un tentativo è necessario farlo. Un tentativo che sottintende la tenacia e la caparbietà di chi non vuole continuare a vagare nel sottobosco delle mezze verità, degli inganni, degli interessi meschini e degli obiettivi occulti.
Le vicende della banca Mps sono tornate in auge per una congiuntura di eventi “epocale”. Dopo l’esito degli stress test il management si prepara a trovare una soluzione che possa piacere alla Bce. Il 15 novembre deve essere presentato un nuovo piano industriale. Ci sono da recuperare 2111 milioni di euro. Con una Fondazione Mps che rischia di tornare nel guado per un’uso poco lungimirante del patrimonio appena messo in sicurezza (e neppure tanto). A nulla sono valsi gli scivoli, le esternalizzazioni, i licenziamenti. Contrapposti all’aumento di stipendio dei top manager. A nulla è valso il periodo di terrore che si vive ormai da mesi nelle filiali del gruppo, con bancari sotto pressione costretti a fare gli assicuratori e a chiudere contratti…
L’altro ieri il presidente Alessandro Profumo ha dichiarato che l’indipendenza della banca “va riconsiderata”. Tutto pronto, dunque, per una fusione. Magari smembrando la banca senese in “polpa” e “torsolo”. Il buono, ovviamente, imballato e spedito fuori dalle mura di Siena. Un disegno che qualcuno aveva svelato da tempo ed aveva detto a gran voce, praticamente ignorato da tutti.
Profumo garante di una fusione (intra o extra nazione) e garante di un passato che non verrà reso pubblico se non, forse – in che misura e chissà quando non si sa – attraverso le pagine raccolte dai magistrati.
Proprio ieri la Nazione locale ha pubblicato – travestendoli da intervista – una serie di stralci degli interrogatori dell’ex presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini che, candidamente, dichiara quello che sapevamo tutti: che le nomine le facevano i politici; che le strategie della banca non erano ostacolabili dalla Fondazione Mps che doveva accettare, anche a costo di andare contro il proprio statuto, ogni decisione presa dal vertice della sua controllata. I personaggi coinvolti? Beh, Mussari, ovviamente, che pare sparito dalla circolazione, salvo le passeggiate romantiche per le Crete. Ma poi anche altri, altri che non sono affatto spariti dalla circolazione, anzi. Da C. che torna pure a rilasciare interviste e che si dice disposto ad un giudizio (politico, manco a dirlo) sul passato. Un giudizio “a freddo” su una stagione di scelte sbagliate (scientemente o meno), che dovrebbero, a suo dire, ricadere su una intera classe politica e non sul singolo individuo. Che è un concetto pur valido, se non fosse che l’intera classe politica, detta così, non vuol dire nulla. C. farebbe un servizio alla collettività decisamente migliore se, oltre al suo, facesse anche i nomi degli altri responsabili. Nessuno, credo, ha voglia di scaricare solo su di lui le colpe di altri. Le sue bastano ed avanzano. In questa analisi del passato C. potrebbe essere aiutato anche da Alberto Monaci che avrebbe tante e tante cose da raccontare. Fatti e situazioni che potrebbero aggiungere particolari ad intrecci solo immaginati, intuiti, resi plausibili da una serie di indizi e da un modus operandi che ormai trova riscontri in tutto il Bel Paese.
Con queste testimonianze potremmo capire più facilmente quanto sta accadendo adesso. Potremmo capire, forse, come mai – mentre negli ambienti finanziari si criticano le scelte fin qui operate dal tandem – nelle mura della città ci si sbraccia nel lodare e dare piena fiducia ai vertici della banca. Dal rettore Angelo Riccaboni al presidente della Fondazione Mps, Marcello Clarich.
Sassolini bianchi, questi, che riportano a qualche anno fa. Agli anni d’oro di Mussari indiscusso ed incontrastato re di Siena, fino al momento della sua rovinosa caduta nella polvere.
Come se la città del Palio si trovasse a vivere su un altro pianeta, i messaggi delle maggiori istituzioni cittadine appaiono scollegati dalla realtà e lasciano esterrefatti. Che vantaggio si ha a dare fiducia incondizionata ad un gruppo di persone che si aumentano lo stipendio a danno dei loro dipendenti? Che opinione si dovrebbe esprimere, pubblicamente, da parte di illustri membri di una società civile, su manager le cui manovre di risanamento di una azienda si riducono a tagli sul personale?  E tutto questo senza neppure portare al tanto sperato risanamento? Non so. Magari, un assennato dubbio liberamente espresso non nuocerebbe alla reputazione; tutt’altro. Ma Riccaboni ha altro a cui pensare. Dalle inchieste sulla gestione dell’Ateneo prima di lui, alla vicenda sulla sua nomina, a quel bilancio approvato e sventolato come “attivo” contro il parere dei revisori dei conti. Farsi dei nemici, nella sua posizione, è certamente poco opportuno.
E Clarich? Si parla di una velina mandata dal presidente della Fondazione a quello della banca. Se necessario, ok alla ricapitalizzazione ma che non si parli di restituire i Monti bond! Sarà vero? Si dice anche che il  collegio sindacale della Fondazione abbia inviato una lettera di richiamo al Presidente perchè questi non avrebbe rispettato il ruolo degli organi consiliari ma avrebbe usato la Deputazione Amministratrice solo come strumento per ratificare quanto già da lui deciso…. Se a questo aggiungiamo che per la prima volta – o quasi – il piano di programmazione dell’ente è stato approvato con il voto contrario di due membri della DG, il quadro “critico” interno alla fondazione è completo! Pubblicamente il numero uno di Palazzo Sansedoni ha espresso piena fiducia al vertice della banca, rispettando quel cliché che aveva avuto una temporanea interruzione con la presidente Mansi. Si sa, le buone abitudini sono sempre le prime a cadere… sono le cattive che è dura smantellare!
I dubbi che non circolano nell’enclave senese, pare invece se li ponga il Mercato che, anche ieri, ha bocciato il titolo con un calo sotto la soglia dello 0,65.
Ma Siena dorme, beatamente dorme, parlandosi addosso, vagheggiando di un passato che è lontano anni luce e che non le ha garantito neppure la candidatura a capitale europea della cultura. Siena dorme anestetizzata dalle parole senza senso – ma farcite di affetto, stima e considerazione reciproca… di cambiamento, rinnovamento, nuova stagione…. – di una lobby sempre più impreparata e lontana dalla gente; sempre troppo presa dai propri interessi per occuparsi di quelli della collettività.
In grande, potremmo pensare a quanto accaduto solo qualche giorno fa. Matteo Renzi alla Leopolda, attorniato da tanti che si dicono di sinistra o centro sinistra ma che di sinistra non hanno praticamente nulla. Gli uomini e le donne di questo Paese si trovano a scontrarsi con un futuro sempre più incerto, preoccupante, a volte terrorizzante. C’è chi non ha più un lavoro, chi non sa più a quale santo votarsi per arrivare alla fine del mese, chi guarda i propri figli negli occhi e non sa cosa potrà garantirgli domani, anche solo in termini di serenità. Tutti questi uomini e queste donne non c’erano alla Leopolda. Loro erano in parte a casa, in parte a lavorare… e in parte in piazza. Alcuni di loro sono stati addirittura caricati dalla Polizia, a Roma. Solo perchè manifestavano contro un Governo che non garantisce il diritto di costruirsi una vita sulla dignità di un lavoro e di una indipendenza economica. Accanto a loro Maurizio Landini, classe 1961, sindacalista della Fiom. Le sue parole, durissime, nei confronti di Renzi e della sua claque, avrebbero dovuto far arrossire tutti i renziani (e i democratici in generale), strenui rottamatori di un passato di corruzione e malapolitica. La sua emotiva rabbia mi ha ricordato quella del capitano di fregata Gregorio De Falco che, in quella notte del naufragio della Concordia, ordinava al comandante Schettino di tornare a bordo della sua nave. Cazzo!
In questa Italia al contrario, in cui basta mettersi in maniche di camicia, avere gli amici giusti, la faccia tosta e lo slang giusto per arrivare a capo di una corrente politica e poi dello stesso Paese, senza essere scelti dalla gente, senza stare a vedere come, perchè e con quali spinte ideali, la parte ancora buona di questa società rimane ai margini se non viene addirittura danneggiata ed isolata.
Nel gioco che concede la vittoria a chi è più furbo e più spregiudicato, valori come l’integrità, l’onestà, il rispetto degli altri, la preparazione, la maturità politica sono mal visti… addirittura avere una coscienza può essere un ostacolo all’ottenimento di un qualche riconoscimento. In questo quadro scoraggiante, il cambio di passo può arrivare solo dalla gente. Da chi ancora, nel calore della sua casa, conserva intatto o quasi il senso di giustizia civile, di uguaglianza e dignità.
E allora ben vengano, nella addormentata Siena, i presidi di cittadini oggi (31 ottobre) davanti al Tribunale, in attesa della sentenza sul caso Alexandria. Alla sbarra l’ex presidente Mps, Mussari, l’ex ad Vigni e l’ex responsabile area finanza Baldassari.
Leghisti, piccoli azionisti, pentastellati… ma, si spera, anche semplici cittadini, desiderosi solo di partecipare attivamente ad un pezzo della storia recente.
E ben venga anche la manifestazione appena nata su FB dal titolo “Marciamo Insieme per Liberare Siena” promossa da Eugenio Neri, che si terrà venerdì, 7 novembre alle 17,30 con partenza da piazza del Mercato.
Benedetto è quel popolo che riesce a riprendersi il proprio destino strappandolo dalle mani sporche dei mercanti di fumo e degli imbonitori di folle…. ah, quel passato senese che non riesce a tornare!
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