La presentazione del cencio ci offre spunti di riflessione
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. Bello. Il Palio della giovane artista senese Claudia Nerozzi è bello. E’ bello soprattutto il retro: quel pesticcìo sul tufo fatto dai cavalli… Molti senesi hanno detto così, all’uscita dall’entrone nei minuti dopo la presentazione del cencio.E’ andata così: battito di mani, sguardi che cercavano l’emozione negli occhi dei vicini, qualche timido sorriso…
La gente, assiepata come da tradizione tra le colonne del Cortile del Podestà, le autorità a sedere in ordine sparso, i giornalisti e i fotografi gironzolanti all’interno dello spazio transennato, gli onorandi Priori… l’emozione del nuovo sindaco alla prima prova paliesca che ha letto anche il suo nome alla fine dell’intervento ed ha sorriso di questa innocente gaffe, le due artiste (di Palio e Masgalano) che guardavano tra le ciglia, intimidite dalla folla e in ansia da prestazione… e fuori da quel maestoso quadrato così carico di storia da incutere un profondo rispetto, ad aspettare, quella strana euforia che provoca la vista della piazza circondata dall’anello di tufo.
Non è mancato nulla alla tradizione in questo primo appuntamento del calendario paliesco. Anzi, possiamo dirlo, la tradizione ha regnato sovrana ieri sera (26 giugno) in una sorta di necessario, ciclico, rientro nel ventre materno che per i senesi è rappresentato dalla città e dalla sua festa.
Dopo mesi di scossoni, di continui sensi di “perdita”, di spinte alla precarietà, di dure messe in discussione – giunte soprattutto dall’esterno – i senesi hanno respirato una boccata d’aria del loro “passato”; da una notevole dose di stima autoinfusa che arriva diretta dai secoli scorsi. Un esercizio di tutto rispetto che bypassa, senza troppi fronzoli o giustificazioni, le critiche (o meglio, i racconti senza censure), lanciate da più parti, da dentro e da fuori la città.
Questo cammino così scontato da apparire naturale ha trovato conferma nelle parole di Bruno Valentini: “Siena oggi ci appare come l’immagine sacra della Madonna di Provenzano, oltraggiata da azioni ed intenzioni che non fanno parte della sua cultura, e che non le sono mai appartenute. E Siena, oggi come allora, reagisce con la sua storia, con il suo orgoglio, con la sua Festa… (…) Il mondo ci guarda, a volte senza il rispetto che Siena esige: abbiamo la grande responsabilità, a partire da questo Palazzo, di far cambiare idea a chi negli ultimi mesi, ha dipinto Siena come la città che non è mai stata. Siena rivendica con fierezza la sua appartenenza ai valori di rettitudine, di coerenza, di impegno civile, di libertà di opinione, di capacità e competenza, e soprattutto di verità e trasparenza. Le Contrade ed il Palio possono essere il migliore ambasciatore presso l’opinione pubblica internazionale: Siena era un mito ed un mito tornerà”.
Adesso è chiaro: sono stati “gli altri” ad aver capito male, ad aver analizzato male, o peggio con malizia, i fatti avvenuti negli ultimi 15 anni a Siena. Sono, dunque, “gli altri” a dover cambiare idea. Perchè Siena, ma forse sarebbe meglio dire “chi ha amministrato Siena”, è retta, competente, capace, libera, trasparente! E tanti saluti a quello che è realmente, drammaticamente, accaduto.
Franco Masoni, nella descrizione del cencio, ci mette il suo. Con poetico trasporto, fa rimbalzare il cuore dei senesi nella piazza, li spinge in epoche passate, ricorda le cronache di Silvio Gigli e la bella “Siena immortale”…
E, sopra le teste di tutti, quel Palio, pieno di colori vivaci, di baldiere svolazzanti, di braccia tese e pugni chiusi (non ci sarà mica qualche comunista, qui in giro?!) a stringere la vittoria tanto agognata!E, in cima a quel palio, il volto della Madonna di Provenzano. Un volto “moderno” che non appare ieratico, celestiale quanto il cielo da cui è circondato. Piuttosto, questa Madonna mostra un ghigno, una specie di sorriso ironico, asimmetrico, che cattura l’attenzione e lascia interdetti. Ma starà, per caso, ridendo di noi?!?
In tutto il resto – cavallo sotto e cavalli sopra, cielo, campo, bandiere, braccia e compagnia cantante – quest’opera appare didattica, bella ma senza carattere, legata al passato senza aggiungere nulla alla storia, pulita ma senza guizzi di passione, talmente rispettosa del popolo senese da non lanciarlo anima e corpo tra le braccia dei suoi più reconditi istinti palieschi. Potremmo dire che la tradizione, anche qui, è stata rispettata con una tale cura da resettare tutto: l’ispirazione, l’emozione, il genio e la follia che gli vive dentro. I “brividi” si sentono scorrere, infatti, solo guardando il retro del tessuto, dove i segni dei ferri dei cavalli si incidono sul tufo… i sensi si allertano e la mente viaggia veloce verso l’aspettativa dei cavalli in piazza, il loro girare vorticoso, il tonfo degli zoccoli e il respiro che si accorcia fino a morire in gola. E quelle “U” semplici, pure, hanno il sapore della pienezza dell’istinto che esce dall’angolo in cui è stato rinchiuso; di quel moto dell’anima che non si riesce a gestire e, per questo, viene tenuto in gabbia dietro la “tradizione”.
Uscendo rapidamente dall’entrone, ieri sera, dopo questa iniezione di senesità, i presenti all’appuntamento si saranno sentiti rinvigoriti nella loro identità, nel loro senso di appartenenza, in quell’intimo orgoglio che dal singolo si spande e rende “unica” la festa di Siena.
Dopo il successo della Mens Sana, della notte bianca, adesso c’è l’aria del Palio a rendere tutto magico, lontano e fuori dal tempo. In un tempo che diventa spazio e si materializza nei mattoni del palazzi, nella pietra serena, nelle fievoli luci dei braccialetti, in quell’accento marcato e tipico dei giovani con i fazzoletti portati con tanta baldanza.
Siena, insomma, si concede qualche giorno di oblio giustificato; mette da parte i rancori politici, le beghe dei bilanci in rosso, i vincoli scricchiolanti della banca, i debiti della Fondazione, la ricerca (?) delle responsabilità, la precarietà del lavoro, i rapporti con il contado… e si lancia a capofitto nella sua festa. Lì, in quella atmosfera, tutto e niente è ammesso. Le regole vengono inculcate dalla nascita e si conoscono bene. La carriera, dicono in tanti, è come la vita: non c’è trasparenza e la verità non è per tutti. I cavalli, nell’anello, si lanciano seguendo il loro istinto ma i fantini che li montano fanno il loro gioco, tengono il loro ruolo secondo un piano ben stabilito. E la sorte, la dea affatto bendata, regna su tutti, spariglia le carte e, a volte, fa vincere cavalli scossi. Ed è bellissimo assistere a questo genere di vittorie. E’ bello e liberatorio, proprio come vedere (ah, vederlo!) un popolo che si scrolla di dosso il proprio “fantino” per realizzare, da solo, la sua vittoria.