Mancano pochi tasselli e le nomine in Palazzo Pubblico saranno completate
SIENA. Quando ci si ammala di speranza, ovvero quando la speranza diventa la ragione per cui vivere e non più una emozione che rinnova e rinvigorisce l’anelito al miglioramento delle proprie condizioni – emotive, economiche, sociali, culturali – allora occorre riconsiderare i fattori su cui si è basata la propria vita. E, riconsiderare, vuol dire riprendere in mano la razionalità e fare piazza pulita di ogni illusione. Fermandosi, dolorosamente se necessario, al qui e ora.
Per chi, come noi, ha seguito le vicende politiche senesi da qualche anno, le speranze coltivate erano diventate tante. Una prateria vasta e verde. Qualcuno vi si perdeva in favolose passeggiate, in cerca costante di ossigeno per poter vivere, ma restava comodamente seduto nella poltrona di casa; qualcuno si affannava ad irrigarla, facendo circolare idee nuove, nomi nuovi, invitando braccia forti per cercare di popolarla; qualcuno l’ha sentita talmente propria e vicina alla realtà da farne la sua dimora, da raccontarla dietro nomi come “Cambia”, “Si muove”, “Rinasce”; qualcuno, infine, l’ha calpestata nel tentativo di uccidere ogni possibile seme, ogni filo d’erba che potesse poi concretizzarsi in un raccolto.
Le speranze, ahimè, non sono un buon frutto da raccogliere. I risultati di quelle speranze, invece, sono tristemente davanti agli occhi.
Nessuno all’opposizione ha commentato la Giunta Valentini. Tutti in silenzio e in attesa di vedere i fatti. Un silenzio che non trova spiegazioni e che archivia la condanna senza appello al Pd e all’apparato sottostante, dichiarata in più circostanze dagli allora candidati a sindaco della città.
I fatti, però, sono proprio i nomi di questa squadra che, dopo dolorose ambasce, è arrivata a presentarsi ad una città attonita.
I nomi li avevamo azzeccati quasi tutti. Certo, non ci aspettavamo Paolo Mazzini. Proprio “quel” Paolo Mazzini. Quello che, nell’ormai lontano 2011, avrebbe dovuto sfidare Ceccuzzi alle primarie e che, invece, fece un passo indietro “spintaneo”. Lui, che era già nella Deputazione Generale della Fondazione Mps al tempo del secondo drammatico, catastrofico, aumento di capitale, che era segretario del Circolo Pd de La Lizza: lui che si diceva fosse già pronto a fare il passo di candidarsi a sindaco anche in questa tornata ma che poi, viste le beghe interne, ha pensato bene di non cavalcare quella “tigre”. Lui, infine, che non pare abbia dato grandi prove di coraggio neppure all’interno della Deputazione della Fondazione Mps, non distiguendosi per moti di ribellione alle scellerate decisioni uscite da quel consesso. Ha dalla sua solo una non determinante “reazione” allo strapotere ceccuzziano, non determinante perchè mai messa realmente in atto. Se basta questo per promuoverlo in Giunta…
Ci aspettavamo, invece, Anna Ferretti, di nuovo con la stessa delega già presa con l’allora sindaco Ceccuzzi. Un segnale di “continuità” che ci potevamo anche risparmiare dal momento che la sua attività nel settore non ha lasciato grossi segni nella memoria.
E che dire di Stefano Maggi? Il professore che, in una lettera ad Alessandro Mugnaioli (braccio destro di Ceccuzzi e candidato alle primarie in contrapposizione a Valentini) lo osannava per le sue doti quali “attitudine a mediare, per la sua calma e gentilezza, per la sua capacità di lavorare continuamente e costantemente in maniera costruttiva, per l’assenza di ambizioni personali”? Maggi era diventato noto ai più (dopo lunghe discussioni interne al partito) anche come possibile candidato unico, per scongiurare il pericolo primarie. Ovviamente, il suo nome non era emerso dallo schieramento dei rinnovatori di “Siena Cambia” o dai rottamatori renziani di stirpe senese ma, bellamente, dalle stanze ceccuzziane.
Su Sonia Pallai poco o nulla si può dire. Avendo una fissa dimora in Confesercenti pare che abbia una cospicua serie di estimatori e di alcuni di questi possiamo anche fidarci, quindi, per lei, torna in auge la “speranza”.
Mauro Balani, manager di Etruria, con delega al personale, invece, è nome poco conosciuto. Ma, a detta degli esperti conoscitori dei “fili” che compongono la trama del Sistema Siena, i collegamenti con il Pd ci sarebbero. E con le più alte sfere. O, almeno, con quelle che ancora in qualche modo, sebbene dalle quinte chiuse, controllano che il potere resti ben saldo sempre nelle stesse mani.
Le nomine di Tafani e Tarquini sono nomine “obbligate” per condividere il governo con gli alleati di sempre del Pd. I vendoliani, al loro interno, mal sopportavano una nuova carica al giovane Cannamela e quindi, anche per onorare le quote rosa, si è pensato a Tiziana Tarquini. E, tra i Riformisti, lo sport poteva benissimo essere assegnato ad un esperto quale Leonardo Tafani.
E ora passiamo al braccio destro di Valentini, quello che ci siamo abituati a vedere accanto a lui nella campagna elettorale e anche prima. E che oggi troviamo in veste di vicesindaco: Fulvio Mancuso. Sicuramente renziano, certamente fedele alla causa del rinnovamento fin dall’inizio, Mancuso non può certo dirsi uno estraneo alla politica ante-Valentini. Lui, di incarichi, nel ha ricoperti, eccome. Era nell’esecutivo del Pd e, tra i suoi interventi, non abbiamo trovato messaggi anticeccuzzi prima della “discesa in campo” di Bruno Valentini. Membro del CdA di MPS Leasing & Factoring, marito di Paola Rosignoli – in deputazione Mps e poi assessore nella giunta Ceccuzzi – a lui dovrebbe essere affidato lo “spirito” di rinnovamento dei valentiniani, là dove lo smalto dello stesso sindaco fosse stato intaccato. Ci pare, così a occhio, un’impresa piuttosto ardua.
Domani (27 giugno) l’atteso primo Consiglio Comunale. Domani, la nomina del presidente e del vicepresidente del consesso cittadino. I nomi che circolano per i due ruoli sono quelli di Mario Ronchi (ceccuzziano, manco a dirlo) e di Luciano Cortonesi (Nero su Bianco). Qualcuno, in Siena Cambia, avrebbe fatto il nome di Trapassi ma pare che questa proposta non abbia fatto molti proseliti. Invece, entro venerdì si dovrebbero conoscere i nomi dei capigruppo. Per il Pd la più quotata sarebbe Carolina Persi. Un nome, una garanzia di esperienza (e soprattutto di rinnovamento).
Ammirando da lontano (per ragioni ideologiche, logiche e pure spaziali) il quadro che si delinea, l’accecante verde della speranza ci pare di molto sbiadito. I nomi: sempre gli stessi, in una danza che abbiamo già visto e che di “passi nuovi” non ne mostra. Le forze di rinnovamento e di competenza, che pure si erano esposte a sostegno di Valentini, sono state emarginate e sacrificate ad equilibri interni che ormai sono lontani anche dalle logiche ceccu-monaciane (se è vero, come è vero, che di monaciani ce ne sono pochi in questa amministrazione). I democratici “intolleranti” alle vecchie logiche di partito hanno trovato poche o punte sponde su cui giocare la partita del rinnovamento e, spompati dalla battaglia fino a qui combattuta, non è detto che abbiano forze per affrontare una nuova sfida. E poi con chi? E per cosa? Le classiche domande che si pongono coloro che rasentano la depressione del dopo-sogno.
Vogliamo ancora sperare? Sperare che, avendo come sprone Bruno Valentini (quello di marzo e non quello di maggio e giugno) questi uomini e queste donne, folgorati sulla via di Palazzo Pubblico, trovino il coraggio mai avuto fino ad oggi, di rompere con i sistemi logori del potere e marciare spediti verso la piena conquista della propria autonomia. E anelino al bene della città come fosse l’unico scopo della loro vita. Sperare che, dalle trifore del Comune (dalle quali si affaccerà anche il santone-Renzi e, forse, anche il pluriincaricato Letta) loro possano scorgere il grido di aiuto di una città che agogna il cambiamento più di quanto essa stessa non sappia. E si pongano a paladini di questa esigenza.
E con questo -anche per oggi – abbiamo esaurito il verde…