Siena può ambire al titolo di capitale della cultura. Dello sfascio...
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. La tromba d’aria che si è abbattuta domenica mattina (29 settembre) su Piazza del Campo, a tre giorni dall’ultima seduta fiume del Consiglio Comunale, appare come lo “sfogo” della natura di fronte alle parole che si sono spese in Palazzo Pubblico. Una ineluttabile rivalsa climatica arrivata a surrogare il silenzio inquietante della città di fronte all’ennesima farsa sulla Fondazione Mps.
Ore e ore a chiacchierare, a scontrarsi verbalmente, ad attaccarsi sulle parole in un gioco che ben poco aveva di schietto e scevro da basse ideologie e da interessi di casta e che, invece, tanto aveva di stantio, diremmo quasi “già visto”. Neppure di fronte alle macerie conclamate di un patrimonio gettato alle ortiche i valorosi consiglieri della maggioranza si sono sentiti assaliti da un rossore consapevole, da un moto di imbarazzo, da un senso di disagio che potesse dare spazio alla minoranza per far valere le ragioni di una intera città. Niente. Duri come monoliti, arroganti nei numeri, hanno accartocciato le richieste dell’opposizione per buttarle meglio nel cestino.
In poche parole il Consiglio Comunale (la maggioranza) ha prodotto un documentucolo in cui si invita i deputati della Fondazione Mps di nomina comunale, a valutare (quindi con un largo margine di probabilità ma poca certezza) una azione di responsabilità nei confronti dei vecchi organi amministrativi dell’Ente.
Il sindaco Valentini non ha fatto mancare pillole di saggezza amministrativa: “Non sappiamo se ci sono responsabilità penali o amministrative”, con buona pace di quello Statuto i cui due fondamentali articoli sono stati palesemente violati. Boh, mah, chissà, forse, può essere… dopo un paio di annetti buoni, tanta carta stampata da leggere, qualche libro e qualche libretto pubblicato per raccontare le vicende della Banca e del suo azionista di riferimento, c’è ancora chi si nasconde dietro incertezze di facciata! Roba da tromba d’aria, e tutti a casa!
Insomma, in questa fine di settembre, le cose non sembrano prendere un assetto diverso, diciamocelo ancora: discontinuativo.
Un argomento tornato in auge, o meglio lasciato in sospeso dal mandato amministrativo di C. è il destino del Santa Maria della Scala. Per una città che si candida a Capitale europea della cultura 2019 la probabile chiusura del complesso museale, come pronosticato dal sindaco Valentini, tra appena un anno, lascia senza parole. Ma come? Ma lo avete detto al professor Sacco? A questa notizia la risposta di alcuni intellettuali nostrani è stata immediata. A salvare il Santa Maria della Scala dovrebbe essere il sindaco! Mostre, mostre e appuntamenti culturali… soci privati che investano anche sulla gestione (?) e l’interessamento dello Stato. In pratica, senza l’aiuto che arriva da terzi, la città è già destinata a fallire! E poi si dice che a fare i distruttori sono i giornalisti non di regime! Ma quale privato potrebbe essere interessato a pagare per un museo la cui gestione si è rivelata fallimentare a dispetto dei miliardi investiti dalla Fondazione Mps? E poi: se quando si trovano i privati interessati agli spazi gli si propongono contratti come quello firmato con Opera (a quasi esclusivo vantaggio di quest’ultima), ci credo che si rasenta la chiusura… Insomma: alzi la mano chi opera – scritto minuscolo – per il bene di questa città allo sbando.
La pochezza della politica locale si riflette in modo quasi preoccupante su quella rappresentanta in queste ore dalla politica nazionale. Nel quadro delineato da Marcello Zacché, del Giornale, si evidenzia come si viva ormai da mesi il senso di smarrimento di fronte alla fine di equilibri che parevano indistruttibili e che, invece, hanno mostrato la loro debolezza; una debolezza derivata dalla scarsa o nulla lungimiranza, da un pressapochismo e da una impreparazione quasi imbarazzante, dal senso di arrogante intoccabilità che ha trovato in alcuni fatti di attualità (solo alcuni, purtroppo) una crepa preoccupante e, ultimo ma non ultimo, da un obiettivo troppo meschino per essere premiante: il proprio interesse e quello della casta.
Alla luce di questa osservazione, nell’articolo si mette in dubbio la possibilità per Mps di uscire dalla crisi in cui si trova (a causa della politica), proprio per la mancanza di un asse di potere nazionale che possa farsi garante di un diverso modo di gestire il bene Paese.
Sempre alla luce di questa disamina, è facile capire come anche i vertici politici italiani siano in piena confusione. Interessante l’intercettazione pubblicata giorni fa da “Il Fatto Quotidiano” di una chiacchierata tra Giulio Tremonti ed il suo socio Dario Romagnoli. Il Monte appare come una mucca ancora da mungere e l’ex-ministro dell’Economia fa anche riferimento ad una tangente (non confermata dai magistrati), da un miliardo e mezzo durante l’acquisizione Antonveneta.
Riportiamo testualmente l’intercettazione (come pubblicata da “Il Fatto Quotidiano”), che risalirebbe al 24 gennaio scorso. Giulio Tremonti: “Hai visto che casino Monte dei Paschi, ormai è un affare di stato (…) ma lì gli han fregato un miliardo e mezzo di tangente”. Romagnoli: “Sì infatti secondo me i derivati son cagate”. Tremonti: “Sì infatti quelli sono una stupidata. Lì comunque chi è estremamente dentro e ha tra l’altro la fiducia della procura di Siena è Riolo (Studio associato Riolo, Calderaro e Crisostomo Ndr) te lo ricordi? (…) loro son venuti da me come guru… però sono molto amici di Rizzo (Antonio Rizzo, ex broker della Dresdner Bank, testimone contro la cosiddetta banda del 5 per cento, ndr) e loro hanno in mano tutto per cui sarebbe anche il caso di avvicinarli per il fiscale. Ti pare? (…) Perché tengono per le palle tutti (risata)”. Romagnoli: “Assolutamente, da una parte secondo me va spinta perché è veramente uno scandalo perché poi … che D’Alema e questi del Pd dicono che non c’entrano un cazzo? Che era Mussa.. una roba folle”. Tremonti: “Una tangente da un miliardo e mezzo e loro non c’entrano? No? (…) L’ideale sarebbe dalla parte di Riolo (…) infatti il discorso di studi dovremmo provare a ipotizzarlo anche con loro, (…) loro sono molto bancari, se riuscissimo a ragionare con loro potrebbe essere molto interessante”.
Di notizie, in questo periodo, nauseanti come questa, ce ne sono tante quanti i dubbi che circolano nelle teste pensanti. Ci nasce, infatti, il sospetto di non aver afferrato quel particolare fondamentale che non fa avere il quadro completo della situazione, tanto per fare un pronostico su quello che accadrà da qui a qualche mese; il dubbio di non arrivare mai a a toccare il fondo di una voragine di immoralità che ha trascinato nel fondo più fondo non solo l’economia, la politica “pura”, la competenza, la dignità del lavoro, il senso di appartenenza, ma persino la decenza e l’onore di un Paese che adesso si vede “derubato” di aziende storiche. Quelle stesse aziende che hanno fatto il buon nome e la fortuna d’Italia. Proprio come Siena viene “derubata” del Monte.
Cosa è accaduto e cosa potrà mai ancora accadere a quest’Italia allo sbando? Cosa potrà mai accadere a Siena (cosa le è accaduto, almeno per sommi capi, lo sappiamo!), se non si cambia rotta e non si torna ad un modo responsabile di agire?
Nulla di buono, per quello che possiamo ipotizzare. Niente pessimismo, solo realtà.