Fondazione, Fondazione delle mie brame…

SIENA. Mancano poco meno di 48 ore alla prossima riunione della Deputazione Generale della Fondazione Mps. Sul tavolo i nomi dei candidati alla presidenza. Il clamore della mancata nomina nella seduta del 29 luglio scorso si è ormai sopito e l’attenzione è rivolta al futuro. A quello che accadrà. I candidati in gioco restano due: Bettina Campedelli, attuale membro della Deputazione Generale, sulla quale aveva puntato l’ex-presidente Antonella Mansi (quella che tutti stimano ma non fino al punto da seguirne i suggerimenti per la tutela del futuro dell’ente) e Marcello Clarich, docente della Luiss, nome scaturito da un accordo Comune-Provincia-Camera di Commercio, quasi a sorpresa nella riunione di fine luglio.

Nelle ultime ore, comunque, qualcosa è cambiato. La curiosità (e il sospetto) nei confronti del professor Clarich – per le modalità di presentazione della candidatura e per i legami ufficiali con la città – si è fatta sempre più accesa facendo muovere “informatori occasionali” alla ricerca di nuovi collegamenti, di possibili incompatibilità o inopportunità che potrebbero prima spiegare la sua candidatura di stampo istituzionale e poi rendere palese le presunte – ipotizzate, complottisticamente supposte – ragioni che sottostanno alla sua scelta per il ruolo di neo-presidente della Fondazione Mps.

Qualcuno ha tirato fuori la sua candidatura ad un’altra presidenza: quella dell’Istituto per il Credito Sportivo, di cui attualmente è Commissario Straordinario. ICS che è voce non secondaria nel bilancio appena presentato dalla banca Mps. Il mondo finanziario è davvero piccolo. Più o meno come quello umano e sociale, quello in cui le vite si incrociano casualmente e, altrettanto casualmente, si trovano affiancate in ambiti professionali. Si vociferava di una parentela assai lontana e indiretta di Clarich con l’ex deputato della Fondazione Mps ed ex consigliere di Sansedoni Immobiliare (dimessosi), Riccardo Martinelli. Il grado di “vicinanza”, diciamolo, è del tutto irrilevante. E, se non ci fossero un’azione di responsabilità in corso e la situazione decisamente critica della Sansedoni Immobiliare, la cosa sarebbe stata del tutto priva di interesse.

Ma gli occhi – e la mente – sono puntati sulla tutela del lavoro fin qui svolto da Antonella Mansi: sulla voglia di arrivare fino in fondo con le azioni di responsabilità; sul desiderio di non veder crollare il “patto di sindacato” che dovrebbe garantire il giusto peso alla Fondazione nel momento cruciale del rinnovo dei vertici della banca Mps; sulla sentita esigenza di non vedere nuovamente la Fondazione trattata “come un bancomat” (Mansi pensiero, ma anche di Mancini a suo tempo) da quei vegliardi della politica che per anni hanno usato il tesoro della città per rafforzare la rete di interessi e di clientele che è stato (ed è) il Sistema Siena.

Forse, nel tentativo di garantire la “continuità nella discontinuità” si è spinti a vedere anche cose che vanno oltre la realtà, che non erano nelle intenzioni di chi ha dato la sua disponibilità ad assumere un incarico così delicato. L’ennesima trimestrale in rosso – un rosso superiore alle previsioni – non gioca certo a favore del management della banca. Le voci che tessevano le lodi di Profumo e Viola all’indomani dell’aumento di capitale hanno osservato, questa volta, un imbarazzato silenzio. I salvatori della banca, quelli che vanno tutelati e lanciati fin da ora per la prossima stagione delle nomine, non vanno criticati. La débacle deve passare il più possibile inosservata, più o meno come nelle precedenti trimestrali. La corte creatasi in questi mesi intorno a Profumo, con le famose cene ai Rozzi, deve alimentare l’intoccabilità dei vertici della banca, ricreando il circolo magico che ha protetto l’operato di Mussari nella stagione finita come sappiamo.
L’intervista de L’Espresso alla Donna del Monte che ha detto no, centra perfettamente il clima che si respira a Siena. L’operazione gattopardesca messa in piedi dal Pd; la sparizione (per bocca del sindaco Valentini) dei ceccuzziani confluiti nella corrente valentiniana (ma forse sarebbe più corretto dirlo spostando l’ordine degli addendi) ; la ‘muina fatta nelle settimane scorse nella vicenda del Bilancio di previsione… tutto ha condotto ad un apparente ricompattamento in nome del ritorno al passato. I rinnovatori escono schiacciati da questo quadro, conservando l’ultimo baluardo proprio nelle stanze della Fondazione. Nel tentativo estremo di mantenere viva la fiamma della discontinuità in un (e uno solo) tassello della città. Un pezzo di “potere” che ancora conta e che potrebbe acquistare un ruolo propulsore determinante per il diffondersi di un vero moto di cambiamento.
Questo, però, nei desiderata… nei sogni di alcuni. Un numero sparuto, probabilmente non abbastanza forte per contrastare il nuovo accordo tra ceccuzziani e valentiniani.
E lo abbiamo già visto. Nella città delle nomine sempre ai soliti, degli accordi di costante tutela della casta, diventa inutile sbandierare (anche mestamente) i disastri di una gestione politica ventennale. Dallo sport all’università, dalla banca alla fondazione, dal tessuto imprenditoriale a quello commerciale e persino a quello culturale. Non esistono responsabili, non ci sono colpe, non ci sono politici imputabili di un qualche errore o anche solo sprovveduti, come non ci sono amministratori palesemente incapaci (perché nella migliore delle ipotesi vengono spostati ma mai mandati a casa con perdite). La città resta indifferente, presa, in questa mezza estate, da interessarsi di palio, di monte, di speranze di vittoria… A settembre tutto sarà finito. I giochi saranno chiusi. Per un popolo di contrada che festeggerà, il resto della città si potrebbe trovare ad aver perso – ancora una volta in modo colpevolmente inconsapevole – una delle battaglie più importanti della sua storia.