Siena è attonita, dolorante, dopo la tragica fine di David Rossi
Di tutta la drammatica vicenda che in queste ore coinvolge Siena nella sua interezza, la cosa che mi ha maggiormente colpito – come un pugno nello stomaco – è l’immagine di un uomo che non riesce a mettere in parole scritte, quello che lo agita così in profondità. Un uomo che, alla fine, quasi torna a quel modo di parlare tipico di un bambino, con quel “cavolata” che intenerisce.
Uscendo con la mente da quell’ufficio dove tutti ci siamo soffermati (anche non conoscendolo) e guardandoci intorno, quello che vediamo non ci intenerisce affatto. Ma ci impaurisce e ci fa terribilmente infuriare. Portandoci dietro il peso di una perdita collettiva, di una sconfitta frustrante, che grava su di noi più di quanto fossimo pronti a sopportare e ad accettare, oggi facciamo enormemente fatica a parlare di banca, spread, derivati, mazzette, politica e porcherie varie.
Quanto vale il silenzio, ci domandiamo. Oggi, ha un valore se dietro quel silenzio si cela, pudica, un’analisi di coscienza che non esclude nessuno. Che ci costringe a fare i conti con la società che, in qualche modo abbiamo contribuito a creare, o che abbiamo anche solo subito senza opporre resistenza.
Quanto vale la vita di un uomo? C’è un’unità di misura che ne determina il valore?
Di fronte al clamore che ha seguito il silenzio irreale contenuto tutto in quell’ufficio della Rocca, in tanti si sono cinicamente, scioccamente, puerilmente, lanciati a gridare il loro personale valore di quella specifica vita spezzata… ma non c’è una gara, non c’è da indicare un’appartenenza, non c’è da schierarsi, non c’è da accusare o difendere o, addirittura, minacciare. Di fronte ad un gesto così tragicamente definitivo, dolorosamente inspiegabile, violentemente disarmante, siamo tutti ancora lì, stretti in quel vicolo, senza capire cosa ha portato quell’uomo a scegliere di mettere fine alla sua vita. Amici… nemici… è solo una questione di aggettivi, di punti di vista che, alla luce dei fatti, non possono essere mutati ma che non possono fare la differenza. Resta, di sottofondo, l’indignazione. E la fatica di fare il mestiere di narratore della cronaca in queste circostanze… e diventa fastidioso pubblicare i commenti delle istituzioni, dei partiti politici, dei personaggi di spicco della città. E diventa insopportabile assistere allo sforzo di analisi di quanti si ritrovano, al bar, per strada, a commentare l’accaduto. Come si fa ad individuare con certezza la leva che ha mosso un uomo a togliersi la vita? E questo tentativo, necessario per dare un senso alla cosa, ha una qualche possibilità di arrivare vicino alla verità?
Ed ecco un altro punto importante, quello che, in queste ore concitate e dolorose, è stato spesso dileggiato, ignorato, per niente perseguito, anzi camuffato, artatamente adattato, utilitaristicamente travestito… Eppure, dalla tragedia che è diventata Siena, una tragedia adesso completa in tutti i sensi, se ne esce solo affrontando la verità.
E non serve solo – ma è essenziale – la verità che cercano e che troveranno i magistrati impegnati nelle indagini su Mps. La verità, quella che forse non è riuscito a guardare in faccia e ad esprimere quell’uomo, ieri sera, seduto alla sua scrivania, dovrebbe essere l’unico desiderio, l’unica spinta, l’unico obiettivo che dovrebbe accomunare noi, rimasti sotto le finestre illuminate nel vicoletto dietro la Rocca. La verità, elemento essenziale per ricostruire un mondo in cui non ci siano segreti che schiacciano le vite umane, che imprigionano le coscienze, che rendono schiavi i sogni e le ambizioni: un mondo in cui non ci siano grovigli – armoniosi o meno – che incatenano e che fanno sprofondare nella solitudine, ma rapporti umani che sostengono, che arricchiscono, che condividono e che non gettano ombre ma cercano, costantemente, la luce.
A Siena le ombre hanno prevalso sulla luce: in un preciso momento, inglobando personaggi in vesti da protagonisti o da seconde linee, i segreti, i legami ricattatori, i rapporti d’interesse, hanno risucchiato, come un buco nero, anche le relazioni di vecchia data, anche quelle sane amicizie nate nel più semplice e genuino dei modi. E nel buio, si sa, si rischia di perdere anche se stessi.
La dietrologia non aiuta a fare luce, ad arrivare alla verità. Se le inchieste dei magistrati avessero, oggi, un’accelerazione, ne saremmo felici. Ancora di più saremmo felici se, quelli che sanno, trovassero il coraggio di parlare, di raccontare, in un percorso di verità che non può che fare bene a tutti, come in una sorta di purificazione. A tutti… meno che a quelli che, questo inferno oscuro, lo hanno scientemente creato senza dare peso al valore di una vita.
Chi ha voluto che Siena arrivasse a questo? Chi ha condotto alla distruzione e al disfacimento morale che respiriamo adesso? Non sono stati quelli che hanno denunciato il malaffare e neppure quelli che l’hanno raccontato… è tempo di smettere di guardare il dito e non la luna. E’ tempo di smettere di stravolgere una verità che ancora, dolorosamente, ci sfugge. Adesso c’è un altro motivo per non scendere a compromessi: prima c’era un bene prezioso come una banca, poi un bagaglio storico come una antica città, poi un bagaglio civile come l’orgoglio di un popolo… adesso c’è il ricordo di un uomo che aveva perso le parole. E nessuno di noi è stato in grado di suggerirgliele.
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