Siena sta inesorabilmente perdendo la sua autonomia ed esponenti del Pd lanciano anatemi a chi non ha mai governato
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di Mauro Aurigi
SIENA. Da anni, avendoci fatto il callo, ero convinto che la politica cittadina non sarebbe più riuscita a sorprendermi. Invece c’è ancora riuscito Giulio Carli, responsabile organizzativo del PD senese, con una lettera ad un quotidiano locale pubblicata a quattro colonne il 4 gennaio. La lettera è una lunga, dura e ripetuta reprimenda alle Liste Civiche, massimo oppositore in Consiglio comunale. Si dirà: e dove sta la sorpresa? La sorpresa sta nel fatto che alla fine di una legislatura è sotto esame quello che ha fatto o non ha fatto la maggioranza al governo, non la minoranza all’opposizione. Invece per Carli sul banco degli imputati c’è solo il comportamento delle Liste Civiche (il Pdl, del tutto ignorato, deve essersi comportato benissimo).
Ma io lo capisco il Carli: se avesse dovuto commentare quello che la maggioranza al governo ha fatto o non ha fatto avrebbe necessariamente dovuto parlare soprattutto di tre cose:
a) l’Università, col suo buco di 250 milioni di euro che ancora non si sa dove siano stati spesi e che potrebbero provocarne l’estinzione dopo tre quarti di millennio di storia gloriosa;
b) l’Ospedale, il più antico del mondo, messo in ginocchio per la prima volta nella sua millenaria storia, declassato (verità ormai nota a livello nazionale) e poi venduto alla Regione (il trasferimento del debito pubblico dell’Ospedale al debito pubblico della Regione è stato trionfalmente annunciato come un successo: quando si dice la finanza creativa!);
c) e soprattutto c’è il Monte dei Paschi in crisi ormai irreversibile: è sempre più insistente la voce che dopo le elezioni – guai a farlo prima – si dovrà ricorrere all’ingresso di capitali freschi nella compagine azionaria, un’operazione che dopo più di mezzo millennio, farà perdere alla Città il controllo della sua banca.
Banca, Ospedale e Università direttamente o indirettamente sono forse più del 70% della vita economica, sociale e culturale della Città. Come dire che alla fine la Città potrebbe essere solo il 30% di quello che era, ossia lo spettro di se stessa. Ma quello che è ancora peggio, avrà perso dopo 1000 anni di ininterrotto orgoglio civico la sua autonomia totale dal resto del Paese e dovrà entrare – lei che aveva fatto sempre tutto da sola per cui di ciò che aveva non doveva ringraziare nessuno – nel novero della città questuanti meridionali. Questo è ciò che è successo negli ultimi 30 anni, una volta che la nuova leva di politici pimpanti ha definitivamente pensionato, con un sospiro di sollievo, la vecchia classe dirigente fatta di compagni temprati dalla resistenza e dall’antifascismo.
Di tutto ciò il Carli non si limita a tacere, ma con sommo sprezzo del ridicolo accusa le Liste Civiche, notoriamente prive di qualsiasi strumento di potere, di essere state loro a “infangare le istituzioni storiche della città”. Evidentemente deve pensare ai lettori (e il cielo non voglia che abbia ragione lui) come un branco di strulli. Mi viene spontaneo il parallelo con Berlusconi, che per coprire i disastri dei suoi governi ne dà forsennatamente la colpa ai “comunisti”.