SIENA.
Apprendiamo oggi, a distanza di ben otto mesi, le motivazioni della sentenza del Giudice Avila sul filone truffa di Banca Etruria, nelle quali leggiamo, come abbiamo sempre sostenuto, che le subordinate di Banca Etruria, poi azzerate, furono davvero una truffa ai danni dei risparmiatori e che la cabina di regia c’era, ma non si trovava “a livello intermedio” ma su piani più alti, e proprio a questo si deve l’assoluzione di diversi dirigenti.
Ci domandiamo però di come sia stato possibile che improvvisamente molti direttori di filiale avessero deciso di vendere (tra l’altro con le stesse modalità) quelle obbligazioni a pubblico retail, e quindi agli ignari risparmiatori, senza che l’ordine fosse stato impartito dai loro diretti superiori, quelli che appunto la sentenza scagiona. La sensazione è quella che manchi l’anello di una catena di tutta evidenza.
Ci domandiamo però di come sia stato possibile che improvvisamente molti direttori di filiale avessero deciso di vendere (tra l’altro con le stesse modalità) quelle obbligazioni a pubblico retail, e quindi agli ignari risparmiatori, senza che l’ordine fosse stato impartito dai loro diretti superiori, quelli che appunto la sentenza scagiona. La sensazione è quella che manchi l’anello di una catena di tutta evidenza.
Visto che il giudice non ha accolto la tesi dell’accusa che vedeva responsabili per una parte i vertici e per l’altra i “livelli intermedi” ci chiediamo come sia possibile adesso fornire una ricostruzione sensata e razionale dei fatti, innegabili per sua stessa ammissione. Rimaniamo quindi in fiduciosa attesa per quanto riguarda il processo ancora in corso (la prossima udienza si svolgerà a luglio) per falso in prospetto a carico dei vertici della Bpel, che vedrà ancora una volta le tesi della Procura al vaglio del giudice di Arezzo.
Letizia Giorgianni, presidente associazione Vittime del salvabanche