SIENA. Quando nel marzo 2012 la famiglia Aleotti (ovvero la casa farmaceutica fiorentina Menarini) acquistò dalla Fondazione MPS il 4% della banca omonima, diversi commentatori – specialmente senesi – ci videro il primo tassello del rinnovamento post-Mussari. che avrebbe dovuto liberare Rocca Salimbeni dalle pastoie della politica. Erano gli stessi Aleotti che nel 2007 fecero un’operazione di immagine col presidente della Provincia di Firenze, tale Matteo Renzi, regalando 600 computer per le scuole. Erano gli stessi Aleotti che, poco tempo dopo, firmarono un protocollo di intervento per alcune case popolari col sindaco di Firenze, sempre Matteo Renzi. Sono gli stessi Aleotti rinviati a giudizio per aver sottratto al fisco 1,2 miliardi di euro, altro che mandare i finanzieri a caccia dello scontrino non battuto dall’ambulante al mercato; e che sono indagati per l’utilizzo di soldi riciclati per acquistare proprio le azioni dell’istituto di credito senese.
Secondo le carte dell’inchiesta fiorentina sugli Aleotti, essi avrebbero avuto frequentazioni politiche anche con i governi di centrodestra, tanto da poter avere la sfacciataggine – secondo la ricostruzione degli inquirenti di una intercettazione telefonica – di chiedere un emendamento ad hoc su una legge a Gianni Letta. Altro che rinnovamento, altro che imprenditori fuori dalla politica! Fumo negli occhi ai senesi e basta. Matteo Renzi lasciò basito il sindaco Valentini esternando in un tweet (come, sennò?) la sua volontà di rimanere estraneo alle dinamiche del Monte dei Paschi. Il messaggio di Valentini era “Matteo, allora vado a dritto sulle nomine, okay?”, la risposta del sindaco rampante fu “Bruno, ma che c’entro io con le nomine del Monte Paschi?’ La politica deve starsene fuori”. Due bugie in una: la politica non era fuori dalla banca, Matteo Renzi era già ben piantato dentro la Rocca con i suoi rappresentanti. Il sindaco di Siena era fuori da tutto, ma non lo sapeva. Come i suoi predecessori: quanto più credevano di contare, tanto più erano pedine ignare di giochi più grandi di loro.
Ma poiché i crediti si riscuotono, alla fine, gli Aleotti – cui del Monte non importava un fico secco tanto da fare spallucce alle perdite sull’investimento e a ridurlo nel tempo fino all’attuale 1% – si sono fatti scoprire con la famosa legge 3% (cosiddetta salva-Berlusconi), che invece salva il CDA di Rocca Salimbeni, che vede gli Aleotti incriminati per frode fiscale per – repetita iuvant – 1,2 miliardi di euro e Alessandro Profumo per 245 milioni (rinviato a processo, caso Brontos).
Con certi problemi in casa propria, è un vero mistero capire quanto impegno possono dedicare al risanamento della banca queste persone. E infatti MPS va a singhiozzo: ogni qualvolta è stata fatto un piano industriale, una previsione, una contabilizzazione subito dopo tutto è stato smentito dalle risultanze dei fatti. E dai nuovi paini, ultimo quello che farà emergere altri miliardi di perdite senza spiegare perché sono state nascoste dal 2012 ad ora. D’altra parte se oggi il Corriere della Sera può intitolare “MPS, i grandi azionisti schierati con Profumo e Viola”, mentre si fa una legge per non risarcire i danni civili e ambientali provocati dall’Ilva di Taranto e si fa passare sotto silenzio* la multa che Standard & Poor’s ha ricevuto negli USA (1,5 miliardi di dollari per l’accusa di aver imbrogliato gonfiando artificiosamente i ratings sui titoli legati ai mutui prima della crisi) e che in Italia nessuno gli imputa, è chiaro perché sono tutti dietro Profumo: comanda la politica. Solo l’elettore frastornato da questa girandola di affari e affarucci può credere che stanno lavorando per noi.
*Una piccola aggiunta: Adusbef ne fa cenno a proposito del processo in corso a Trani, che vede imputate proprio Standard&Poor’s e Fitch (leggi qui)