Ma abbiamo davvero assistito all'ultimo atto di questa classe politica?
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. Chi pensa di poter mettere la parola fine all’epoca “castale” di Siena, quella denunciata nelle inchieste giornalistiche nazionali, in tv e sui giornali, forse sta precorrendo ancora troppo i tempi. Ieri (21 maggio) in Consiglio Comunale, si è consumata una tragedia di cui già si conosceva la trama. E’ stato come mettersi in poltrona a teatro per riascoltare la Traviata!
Università, banca, fondazione in netto declino: finiti i soldi, finita la festa. Il sindaco, nel suo commiato al Consesso cittadino si è soffermato con puntiglio sull’ospedale, altro centro nodale del potere senese. Anche quello in declino. E non lo ha fatto a caso…
Cosa resta di questa città da troppo tempo in balia di una politica autoreferenziale? Di una oligarchia composta da personaggi – autonomi o manovrati nell’ombra – che hanno come massima colpa quella di credere di essere più furbi degli altri e per questo meritevoli di gestire il potere più e meglio dei propri stessi accoliti?
Oggi, Franco Ceccuzzi appare uomo solo. Il suo discorso, carico di emozione e di rancore, potrebbe essere confuso con quello di un “innovatore” tradito da un manipolo di “restauratori” per nulla disposti a sostenere quel cambiamento di rotta così utile – quasi vitale – per la città. Lui, vittima ingenua di un “inciucio” e di un “inganno” tramato alle sue spalle. A 368 giorni dal suo insediamento nelle sale affrescate del Palazzo Pubblico, il sindaco cade sotto i colpi dei “politicanti della Prima Repubblica”, novello Cesare… e un moto di tenerezza, in verità, deve averla suscitata in chi ha letto e riletto il suo intervento. Io sono tra quelli. Poi, però, la storia non si dimentica e l’emozione ed il “com-patimento” lascia il posto all’analisi fredda e lucida (nei limiti del possibile).
Franco Ceccuzzi non è un “homo novus” della politica senese. Non lo era un anno fa e non lo è adesso. Da segretario provinciale del Pd ha scelto per anni, direttamente, tutti i vertici dell’amministrazione senese. E pure della banca. Da deputato ha contribuito – non è chiaro in quale misura – a prendere decisioni “nazionali” che avevano come fondamento la città del Palio, entrando direttamente in contatto con i vertici nazionali del suo partito. E non solo di quello.
Franco Ceccuzzi sapeva perfettamente in quale stato si trovava la città e le sue istituzioni nel momento in cui ha scelto di candidarsi a sindaco di Siena. Lui lo sapeva e non poteva non saperlo. Ma se i comuni cittadini, di fronte alla proposta (di pura fantasia) di diventare sindaco, nel 2011, si stringevano nelle spalle e mettevano le mani avanti, un politico di razza come il nostro sindaco come ha potuto prendere a cuor leggero una tale decisione, mettendo a rischio la carriera politica intrapresa così brillantemente? Non lo ha fatto, evidentemente. Spazziamo via l’idea che abbia fatto una scelta di “leggerezza” o di “cuore”.
Sorge un dubbio – e non è di quelli che si possono archiviare con l’epiteto di “fantapolitica”. Ma cosa aveva in mente Ceccuzzi quando ha lasciato Roma per tornare a Siena? Quali interessi lo hanno spinto a farsi carico della “patata bollente” che era già Siena. La vicenda dell’Università già emersa, quella della banca già nota ai più, e della Fondazione pure… l’ospedale non ne parliamo (che è storia vecchia…). Ma cosa lo ha spinto a mettersi a capo di questo “groviglio” avendo già la mappa completa dei nodi e delle trame? Conoscendone le criticità ed essendo pienamente – o quasi – consapevole dell’inevitabile nefasto esito delle “scelte sbagliate” ripetutesi in anni di governo diretto e indiretto della città?
Da tempo non crediamo più nella favola dei Don Chisciotte e il nostro sindaco, troppo avvezzo a frequentare le stanze del potere, non ci pare proprio un condottiero pronto a battersi contro i mulini a vento! E’ per questo che, all’indomani delle dimissioni, delle invettive contro gli otto dissidenti, siamo perplessi e vorremmo individuare il tassello del puzzle che ci sfugge.
Su quali richieste l’accordo non si è potuto fare tra le due anime del Pd senese? E questo disaccordo si ferma nelle mura o ha radici nazionali? Cosa ha spinto Alberto Monaci, presidente del Consiglio Regionale della Toscana, ad esporsi e ad entrare direttamente nel merito di una vicenda che non lo riguardava (essere citato da qualcuno non può bastare ad un politico di lungo corso)? Quali equilibri – non solo senesi ma romani – sono caduti al punto da spezzare un asse di potere che fino a poco tempo fa non aveva mai dato segni di cedimento? Un asse che non aveva riguardato solo gli “ex Ds e Margherita” interni al Pd ma che aveva “riunito” trasversamente tutti gli schieramenti politici, come stanno dimostrando anche le vicende giudiziarie all’ombra del Monte.
Oggi assistiamo ad una guerra fratricida che sta assumendo i tratti di una faida. C’è chi dice di aver visto redigere liste di prescrizione; chi è arrivato a minacciare; chi ha perso platealmente la pazienza ed ha sbattuto porte; chi ha guardato il nemico con occhi torvi lanciando anatemi… cose da film della saga “Il Padrino”.
Quale regia si cela dietro questa “traviata”?
Questi “Montecchi e Capuleti” che ormai si danno battaglia gettando alle ortiche ogni azione politicamente corretta persino fuori dalle loro abitazioni private o dalle sezioni di partito; questi politici che non hanno remore a palesare gli “ideali” che li hanno ispirati nelle scelte amministrative fino ad oggi (ovviamente attribuendoli alla parte avversa) quale arazzo stanno tessendo lungo il tracciato sdrucciolevole della storia senese?
Si susseguono voci di nuove alleanze, di telefonate amichevoli tra personaggi che fino a ieri neppure si salutavano per strada. Si cercano nuovi equilibri sotto l’ombra del Palazzo Pubblico. E il timore è che si generino “mostri” capaci di ristabilire vecchi equilibri con altri nomi.
Da settimane ormai, questo teatro dei burattini non segue più una logica politica. Segno di perdita di lucidità – a causa della perdita dei soldini della banca – o c’è altro? E l’avidità, la superbia, la presunzione, la sete di potere… possono arrivare ad acciecare al punto da non avere più la comprensione dell’attualità?
Dante, a coloro che si facevano guidare da questi sentimenti, aveva trovato un posto di grande prestigio in vari gironi dell’Inferno… Forse ha ragione chi dice che l’Inferno, oggi come oggi, lo viviamo sulla terra…