Però è vero che la verità offende
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. Uno scenario poco edificante, ammettiamolo. Quello andato in onda a Report è il susseguirsi di fatti e considerazioni che nessun senese – almeno tra quelli degni di questo nome – si sarebbe mai sognato di vedere offerto al resto degli italiani.
In queste ore ci si sarebbe aspettati di leggere reazioni politiche di peso, indignazione, rabbia e, a tratti, anche un lieve rossore sui volti di quanti, passeggiando in città, hanno cominciato a riflettere sulla storia cittadina dell’ultimo decennio, almeno. Quelle immagini suggestive degli affreschi di Palazzo Pubblico, quegli scorci di Piazza del Campo così splendidi da creare uno stridio interiore insopportabile causato proprio dal contrasto tra le immagini e la voce fuori campo del giornalista… tutto l’altra sera, al senese medio – e per medio si intende, per bene! – ha fatto male!
Ieri, invece, il silenzio. Un silenzio assordante, come quello seguito alle parole della Gabbanelli che annunciava il diniego dei vertici cittadini ad un commento, ad una partecipazione alla puntata di Report. Mussari, Ceccuzzi e Mancini hanno detto “No, grazie!”. I bandoli del “groviglio armonioso” si sono nascosti dietro un rifiuto che, in effetti, dice molto più di un tentativo di partecipazione, poco convinto e poco proficuo, comunque fosse andato.
Solo un intervento del sindaco Ceccuzzi, a fine pomeriggio, ha fatto comprendere pienamente lo stato d’animo della dirigenza cittadina: quella rabbia mista a senso di impotenza di fronte a situazioni poco lusinghiere che scavalcano le mura cittadine e diventano dominio pubblico. Senza freni.
Come si affrontano queste situazioni? Ormai la solfa è nota: Siena è il migliore dei mondi possibili; noi siamo buoni e i cattivi sono “i barbari” che vengono da fuori; non capiscono la nostra festa; offendono; denigrano; infamano… e via di questo passo.
A concordare con queste che sono stridenti “graffiate sui vetri” sono davvero in pochi. Per una semplice quanto lampante verità: quello che accade a Siena lo sanno ormai tutti. Nessuno ha la forza – o la voglia, vivaddio – di nasconderselo ancora. I soldi sono finiti e con essi anche la possibilità di tenere tutti contenti sotto l’ala poco protettiva ma pur sempre sfamante della “casta”. Non ci si indigna per quello che racconta la Gabanelli, ma per quello che purtroppo è accaduto sotto gli occhi di tutti (chiusi o aperti che fossero).
Non è stata la prima inchiesta su Siena, quella di Report: negli ultimi mesi di inchiostro e di pellicola se n’è consumati tra le lastre… e i temi sono stati sempre gli stessi. Dal “buco dell’Ateneo” alle vicende della banca, Siena è sempre rimasta in primo piano a mostrare una immagine di sè troppo spesso non proprio lusinghiera, fatta di intrallazzi, accordi sottobanco, gestione della cosa pubblica con modalità privatistiche, conti che non tornavano, “magna magna” generale e via di questo passo.
La peggio italianità…
E non è colpa di chi viene e racconta. Magari fosse così! Lo volesse il cielo! Magari fosse colpa dei soliti livorosi, di quelli che, usciti dalla mangiatoia soffrono i mal di pancia di chi non può più nutrirsi come vorrebbe!
Nessuno: neppure un fine dicitore, un avvocato di grido, un filosofo, potrebbero nascondere o rendere meno drammatica l’immagine della città in questo momento. Chi lo ha fatto ha rasentato il ridicolo. Una banca allo sfascio che presto – lo dicono in tanti – potrebbe dover chiedere ai suoi soci un nuovo aumento di capitale; una Fondazione senza più soldi, gestita con scarsa lungimiranza e ormai svuotata anche della forza derivata dalle elargizioni al territorio; un ospedale che ha perso il suo smalto e le cui eccellenze pare debbano arrivare tutte da Firenze; una università ancora in affanno sotto dirigenti incapaci di invertire la rotta perchè ancora legati a doppio filo a vecchie logiche gestionali… e posti di lavoro che si perdono. Con relative famiglie che rischiano di rasentare presto la soglia della povertà.
E’ tutta acredine? E diffamazione?
Quanto tutto questo può essere imputato al “fato avverso e beffardo” o alla “crisi internazionale”? Quanto, invece, a un’incapacità individuale, sorretta e celata sotto nomine partitiche in una logica di funzionalità rivolta solo al mantenimento dello status quo; al finanziamento della dirigenza?
L’aspetto peggiore della puntata di Report – escludendo l’immagine di validi e lungimiranti dirigenti cacciati con la scusa di ristrutturazioni ad personam – è proprio l’immagine di questa città nota per il suo Costituto così pieno di saggezza e di equità (di partiti neppure uno!), diventata un coacervo di biechi interessi, di comportamenti sprezzanti del rispetto della persona, della società, della democrazia e del bene comune. Un luogo in cui il proprio interesse, per quanto misero, piccolo, meschino, viene messo sempre prima di tutto; in cui il clan (meglio che partito, un termine troppo onorevole per appartenere a queste vicende) o peggio, la famiglia, il gruppo ristretto si contende un posto al sole a danno di altri clan, famiglie, gruppi. E la società ne resta schiacciata, inevitabilmente.
Chi ha raccontato Siena – nella veste di dissidente o di semplice narratore – non ha detto nulla che non si sapesse già, che non fosse di dominio pubblico. Forse ci sono state delle omissioni, che certo non avrebbero reso il quadro meno imbarazzante ma che – anzi – avrebbero mostrato quanto ciò che accade a Siena ha peso nel resto d’Italia.
Le immagini del Palio, inspiegabilmente negate alla trasmissione (il Palio è di tutti i senesi e non solo di quelli che governano e che si sentono offesi da programmi di informazione), rubate da una tv, non hanno fatto altro che mostrare una città chiusa, incapace di confrontarsi, di mostrare le proprie debolezze e di riprendersi l’orgoglio da troppo tempo lasciato in formalina.
La discontinuità, tanto ricercata, ancora non si trova in modo definitivo e purificante. La situazione è talmente critica a Siena che pure in Regione c’è chi si gratta il capo alla ricerca di una “soluzione senese”. Che, nel caso non si trovi, rischia di affossare tutto il resto.
I soldi che non verranno dalla Fondazione mancheranno ai Comuni, alla Provincia e pure al Comune, all’ospedale e all’università… L’orgoglio è l’unica cosa che resta, l’unica cosa a cui aggrapparsi per risollevare la testa e cercare soluzioni. Ma prima, quasi fosse un percorso obbligato, occorre un bagno nel sacro lago dell’umiltà. Basta nascondersi dietro il Palio, basta mettere davanti i secoli di storia passata (che tanto è passata) e soprattutto basta dire che va tutto bene (riproponendo un ritornello berlusconiano che stiamo pagando ancora adesso)…
Non è con le querele e con il discredito dell’informazione libera che cambierà l’aria a Siena. O che si eviterà che l’aria cambi.
Possiamo decidere, ancora una volta, di essere dalla parte del bene o da quella del male. La parte del vincitore, questa volta, non è contemplata. Forse anche perchè, questa volta, non è così scontata…