Il PD si candida a decidere come usare i finanziamenti in caso di vittoria
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di Red
SIENA. “La sfida di Siena candidata a capitale europea della cultura 2019” era un argomento così interessante per la platea della Festa del Partito Democratico che si è cominciato come niente fosse con tre quarti d’ora di ritardo. Durante la paziente attesa abbiamo avuto il tempo di leggere il palinsesto della kermesse e abbiamo capito che il Leitmotiv di quest’anno si chiama “rimozione”. Rimozione del passato prossimo, ma anche degli errori commessi, tanto che nel suo intervento il sindaco Valentini, pur ammettendo una parte di corresponsabilità, si è fatto scudo delle congiunture economiche internazionali e del debito pubblico italiano, ma “tiremm’ innanz”. Quando siamo arrivati a parlare di cultura, dall’eloquio forbito della moderatrice Rita Petti non siamo riusciti a discernere se l’incontro si rivolgesse a iscritti e simpatizzanti del partito oppure alla cittadinanza (di cui fanno parte anche quelli che il voto al Pd non l’hanno dato). Perché sovente abbiamo avuto l’impressione che nella mente dei personaggi sul palco – gli onorevoli Matteo Orfini e Luigi Dallai, e il responsabile di Siena 2019 Pierluigi Sacco – le due cose fossero la stessa cosa come ai bei tempi della maggioranza assoluta e di bandiera rossa trionferà E decine di milioni di euro che, secondo Valentini, dalla Ue potrebbero piovere sulla città uno strumento di potere incredibile come ai bei tempi della banca rossa solleticano gli applausi dei circa cinquanta/sessanta partecipanti al dibattito.
Il succo dell’incontro, preso molto di sbieco, l’abbiamo interpretato così con le parole di Dallai “con la finanza non si mangia più proviamo con la cultura”, messaggio forse un po’ troppo brutale, ma comunicativamente efficace. Il Monte non c’è più; la cultura può darci potere e posti di lavoro da distribuire a pioggia; Siena capitale della cultura europea può darci fondi europei, cioè soldi, lavoro e potere. Se il pulpito incarnato dagli esponenti PD si fosse rivolto ai propri affiliati lo avremmo interpretato come: “C’è una bella torta e dobbiamo lavorare sodo per avere la nostra parte”. Se il pulpito (evidentemente autoreferenziale) si fosse rivolto alla città lo avremmo interpretato come: “Noi avremo i fondi da gestire e chi sale sul carro partecipa alle briciole”. Cioè la riproposizione, in un settore diverso da quello bancario, di quel sistema consociativo con cui è stata amministrata la città e delle cui conseguenze nefaste noi e i nostri figli avremo a subirne per troppi e troppi anni, se non riusciremo a non pagare il prezzo dell’oblio. In questa città la meritocrazia è una virtù che non viene praticata da troppo tempo e il prezzo, a livello culturale è stato pagato ampiamente. Non abbiamo un’opera, un monumento, un’architettura di rilievo realizzati dal secondo dopoguerra; e l’unica opera del ‘900 è stata la piazza della Stazione, culturalmente devastata come tutti possono vedere con i propri occhi. E, caro dottor Sacco, se per confrontarsi col modello Lorenzetti ci fosse il rischio di un fallimento anche per la dignità dei nostri giovani, questo rischio vorremmo correrlo. Non abbiamo bisogno di tutor che amministrino per conto dei cittadini la cultura e che diano le dritte per il carrello della spesa. E il Pd senese non è il depositario della cultura locale.