Piccini: "La banca resta nell'incertezza. La Fondazione non ha mutato il proprio destino"
SIENA. A me questo clima da stadio che ha accompagnato il mancato aumento di capitale, proprio non piace e voglio rimanere al metodo che ha accompagnato le mie riflessioni su questo argomento negli ultimi tempi. Cioè rimanere ai contenuti, ai fatti e possibilmente ai numeri, questi si veri galantuomini, uscendo un po’ dal coro nel momento in cui sembrerebbe che in molti abbiano indossato una casacca. Andiamo ai fatti: nella seconda convocazione dell’assemblea per l’aumento di capitale si è consumato l’errore capitale che è andato in scena a ottobre quando per incapacità, per mancanza di volontà non si è trovato un punto di mediazione fra gli interessi della Fondazione e quelli della Banca. Responsabili sono sicuramente i due attori principali Profumo e Mansi ma non di meno la politica nazionale, compreso il governo, così come quella locale. Politica, quella vera e utile, che ha abdicato al suo ruolo di indirizzo per mettersi, nell’unico caso in cui si è manifestata (Valentini), la maglia di uno dei due contendenti.
La scelta fatta dall’assemblea degli azionisti è estremamente dannosa per la Banca Monte dei Paschi senza aver creato nessun vantaggio per la Fondazione. Quest’ultima ha, comunque, fissato una data entro la quale dovrà vendere il suo portafoglio al prezzo equo di quotazione con uno sconto che il mercato si attende legato all’aumento di capitale. Ed è chiaro che chiunque volesse acquistare i titoli del Monte detenuti dalla Fondazione farà riferimento a quello è non ad altro. Se proprio tutto dovesse andare per il meglio il valore che la Fondazione si potrebbe portare a casa è dell’ordine dei trecentocinquanta milioni di euro (nel 2001 la Fondazione valeva oltre sei miliardi di euro) al netto del debito da rimborsare. Senza contare i debiti da partecipate che la Fondazione porta nel suo bilancio. Ora a fronte di questo risultato, che poteva comunque essere raggiunto in tempo adeguato se solo ci fosse stata una diversa ragionevolezza, si mette a repentaglio il bene maggiore a cui la città deve mirare: la conservazione del lavoro diretto e indiretto che la Banca può assicurare al territorio. Questo bene è oggi, dopo la decisione dell’assemblea, fortemente in pericolo: perché in pericolo? In primis perché lo scenario che si determinerà a giugno non sarà quello di gennaio, molti altri grandi gruppi più redditizi del Monte avranno bisogno di un aumento di capitale. La banca ad aprile presenterà il bilancio del 2013 e tutto sarà più definito e più chiaro, sapremo in che modo verrà chiuso il bilancio e gli analisti potranno entrare nel merito delle poste contabili. Una frase ribadita da Viola mi ha preoccupato e non poco, che riporto per intero: “La redditività della banca non è un problema di oggi ma di anni. I risultati in positivo erano fatti o attraverso operazioni straordinarie o tramite falsi”. Quindi, lo scenario che si apre potrebbe portare, con molta probabilità, alla conclusione che l’aumento di capitale, nei tempi indicati dalla Fondazione, non venga collocato nella sua totalità. Prendendo solo un parametro come esempio: cosa succederà a questo punto alla quotazione dei CDS che solo in virtù dell’annunciato aumento di capitale si erano ridotti da settecento a trecento trenta cinque punti base?
Ma torniamo ai nostri ragionamenti se si dovesse verificare la situazione sopra descritta (mancata realizzazione dell’aumento di capitale) cosa rimarrebbe come possibilità? La nazionalizzazione. Ipotesi deprecata da tutti i soci a partire dalla stessa Fondazione che nel caso gli dovesse andare bene, cioè vendere tutto in tempo utile, rimarrebbe con circa trecentocinquanta milioni di euro di patrimonio. In questa situazione la politica avrebbe la forza di mantenere a Siena il bene principale, rappresentato dalla Banca e cioè il lavoro, i lavoratori del Monte e l’indotto sul territorio? Stante il silenzio e l’indifferenza generale nella quale si è svolta la vicenda del mancato aumento di capitale direi proprio di no. È rimasto in silenzio il presidente del consiglio, il ministro del tesoro, la Banca d’Italia, il governatore della Toscana, la politica nei suoi rappresentanti massimi a partire da Renzi è rimasta in silenzio, per quanto conta, quella locale compreso lo sconfitto Ceccuzzi. L’unico che ha parlato e a cui si sono attaccati i giornalisti, rilasciando dichiarazioni a destra e a manca senza un filo conduttore è stato Valentini. Francamente mi sembra poco! Così stando le cose, in caso di nazionalizzazione, da quello che si può vedere a oggi non sarebbero penalizzati solo i soci ma anche il territorio.
In sintesi è stata fatta la scelta peggiore: Il Monte nella più totale incertezza e la Fondazione non ha cambiato le sue sorti che sono quelle di una conclamata marginalizzazione.
Pierluigi Piccini
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