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SIENA. Da Pierluigi Piccini riceviamo e pubblichiamo.
“L’articolo di Roberto Barzanti, apparso sul Corriere Fiorentino, mi dà l’opportunità di chiarire, una volta per tutte, cosa è successo nel 1993 e successivamente con la quotazione in borsa del Monte dei Paschi. Nel 1993, con l’entrata in vigore della legge Carli-Amato circa la trasformazione del sistema finanziario italiano e con la costituzione delle Fondazioni bancarie, il Comune di Siena diede incarico ad un gruppo di esperti, coordinati da Pietro Rescigno, di valutare i passi da compiere. La tesi di questi ultimi era che, una volta uscito il Ministero del Tesoro dalla Banca Monte dei Paschi, l’istituto senese sarebbe tornato in capo ai fondatori, quindi al Comune di Siena. Tale tesi fu presentata dallo stesso Rescigno in Consiglio comunale alla presenza di tutti i rappresentanti istituzionali della città e della Regione.
La tesi non raccolse il giudizio dei presenti e il Comune si trovò da solo a gestire il problema di non poco conto. Allora decidemmo di cambiare strategia, convenimmo che si poteva provare a gestire la stessa legge Ciampi-Amato, ma come? Procedemmo alla stesura dello statuto della Fondazione, parto non semplice perché alcune forze dall’interno dello stesso partito di maggioranza volevano togliere la potestà di nomina a Siena per darla alla Regione. Dopo uno scontro di non poco conto e grazie alla mediazione del presidente del Consiglio Lamberto Dini, arrivammo alla conclusione che le nomine sarebbero state di competenza locale con la metà meno uno al Comune e l’uno da concordare. Dopodiché portammo la banca in Borsa ma – attenzione! – senza privatizzarla, perché le azioni rimasero a disposizione della Fondazione come sopra descritto. Era una concentrazione di potere e di risorse immensa. La Fondazione, grazie ad una serie di accorgimenti, nel 2001 era arrivata a valere 11 miliardi di euro mentre la Banca ottenne un incremento di valore di dieci volte il nominale: un potere enorme.
Risorse e potere che i partiti di Siena (tutti a partire dai Ds) non sono stati capaci di gestire, chiudendosi su se stessi e scambiandosi consensi in modo trasversale (il cosiddetto “groviglio armonioso”). Con la presunzione di poter condizionare (e in parte riuscendoci) le situazioni politiche fiorentine e romane. Poche, pochissime competenze e tanta presunzione. Sarebbe stato il momento di creare una grande piazza finanziaria capace di coinvolgere l’Italia centrale, ma tale politica non fu voluta e il passaggio è stato segnato contro le indicazioni di Spaventa, dal polo aggregante alle fusioni con le grandi banche. Quindi Bnl, San Paolo, Banca Antonveneta che hanno segnato l’apparente ed effimera “fortuna” del presidente Mussari.
Il resto della storia è sotto gli occhi di tutti. L’arrivo di Viola e Profumo è servito solo ed esclusivamente a “far passare la nottata”, sperando che le vicende venissero lentamente dimenticate, ma nel maggio del 2012 arriva la trasmissione Report e successivamente il processo di Milano (che è ancora in essere) con dei periti che hanno periziato dei crediti pari a oltre 11 miliardi, corrispondenti ai due aumenti di capitale fatti dalla Fondazione. Ora lo scenario si arricchisce con UniCredit, come avviene sempre, in estate. Le vicende estive non hanno portato fortuna al Monte e a Siena: all’improvviso occorre che ci sia un unico compratore, che si faccia presto e che ci siano delle “garanzie”. Ah! La fusione non farà forse a gara per chi arriva primo con il tribunale di Milano?”.