di Pierluigi Piccini
SIENA. Gira che ti rigira, è sempre la stessa storia: la politica che non resiste alla tentazione di farsi una banca. Prima la sinistra, oggi la destra. Il Partito Democratico, sia a livello nazionale che regionale e locale, avrebbe molte domande da porsi e altrettante autocritiche da farsi. Tuttavia, credo che gli interventi riportati di seguito siano più il frutto di una fedeltà di partito che di una reale competenza sulla materia.
È facile immaginare come avrebbero reagito Meloni, Salvini o Giorgetti, se qualcuno avesse osato mettere in discussione l’operazione.
A mio avviso, le probabilità di successo si attestano intorno al 40%, considerando che la struttura finanziaria dell’offerta appare piuttosto fragile. È vero che la nuova entità avrebbe una capitalizzazione di rilievo, intorno ai 20 miliardi, ma ritengo poco probabile che il centro operativo rimanga a Siena nel medio termine. Più verosimilmente, sarà trasferito a Milano o, al massimo, a Roma.
Di seguito, riporto l’articolo pubblicato su Avvenire, che descrive con semplicità e precisione lo stato dell’arte e gli obiettivi che il Governo intende raggiungere.
Quanto al tonfo del titolo MPS di ieri e al contestuale rafforzamento di quello di Mediobanca, c’è poco da aggiungere: fluttuazioni di questo tipo sono prevedibili all’inizio di operazioni così complesse. Tuttavia, non si può negare che, per ora, il segnale non sia dei migliori e addio al premio.
L’analisi
CHI CONVINCERÀ I FONDI VINCERÀ QUESTA PARTITA
ANDREA GIACOBINO
Un risiko finanziario ma soprattutto una partita di potere fra Milano, Roma, Siena e Trieste. L’offerta lanciata ieri dal Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca punta in realtà al “tesoro” dell’istituto indipendente fondato nel 1946 da Enrico Cuccia e oggi guidato abilmente dall’amministratore delegato Alberto Nagel: il 13% delle Assicurazioni Generali.
Il Monte, reduce da un passato inglorioso a controllo statale, in cui cumulò miliardi di euro di perdite, oggi si lancia all’assalto del “tempio” della finanza milanese perché lo Stato ne è rimasto azionista con oltre l’11%, avendo nel presidente Nicola Maione (un bravo avvocato, vicino alla Lega) un suo uomo di fiducia così come la gestione è nelle mani salde dell’amministratore delegato Luigi Lovaglio. Il Monte ha così visto lo stato diluirsi, ma non uscire del tutto, e la privatizzazione a rate ha consentito l’ingresso di nuovi importanti soci privati, anzitutto col 15% complessivo Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore, editore e finanziere romano e la Delfin degli eredi di Leonardo Del Vecchio, guidata da Francesco Milleri.
Il punto è che Caltagirone e Delfin sono anche azionisti pesanti di Mediobanca con insieme circa il 30% e sono pure soci con il 17% proprio delle Assicurazioni Generali. I due si muovono, evidentemente, d’intesa con il governo, che punta a creare con loro un terzo polo finanziario italiano, il cui baricentro sia a Roma. La compagnia assicurativa triestina sta infatti per rinnovare il consiglio d’amministrazione presieduto da Andrea Sironi e dove il francese Philippe Donnet è l’amministratore delegato.
Già tre anni fa Caltagirone e Delfin cercarono di rimuovere Donnet nell’assemblea dei soci, ma vennero bocciati dai soci. Potrebbero riuscirci stavoltal, anche considerando che nel frattempo il governo ha approvato una legge (il cosiddetto Dl Capitali), che offre ai soci ampie possibilità di movimento nelle tornate di rinnovo dei vertici? Si vedrà alla conta dei voti. Di certo Caltagirone e Delfin sono contrari al matrimonio nel risparmio gestito Generali-Natixis voluto da Donnet.
La conta degli azionisti sarà decisiva anche per capire se i soci di Mediobanca vorranno finire soci del Monte. Fra gli azionisti della banca hanno un peso rilevante, dopo Caltagirone e Delfin, i componenti del patto (anzitutto la famiglia Doris di Banca Mediolanum), che insieme hanno l’11%, ma la maggioranza del capitale è in mano ai fondi internazionali che hanno sempre sostenuto Nagel, vista la bontà dei risultati da lui portati. Nella partita, infine, si inserisce UniCredit il cui numero uno Andrea Orcel ha di fatto innescato il risiko, muovendo in Germania su Commerzbank e in Italia presentando un’offerta sul BancoBpm. Orcel ha spiazzato il governo che puntava a includere nel terzo polo la banca guidata dal capace amministratore delegato Giuseppe Castagna, vicino al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti.
Insomma, il risiko è partito, ma per spostare gli equilibri della finanza italiana sarà decisivo convincere i grandi investitori stranieri che un pesce piccolo (Mps) può mangiarne uno più grande (Mediobanca) per inghiottirne poi uno ancora più grande (Generali).