Nessuno ha difeso Siena quando si faceva la legge, salvo gridare - dopo - allo scandalo

di Red
SIENA. Il grande inganno mediatico si è consumato nel corso del 2012, per nascondere gli esiti di una battaglia perduta prima ancora di essersi resi conto che bisognava combatterla. La promulgazione del D.L. 6 dicembre 2011 e la sua conversione in legge 22 dicembre 2011 era stata fatta con il voto favorevole dei deputati PD senesi da Rosi Bindi a Susanna Cenni. Che non si erano resi conto che – avendo fissato i criteri per il riordino delle province in modo tale che Siena sarebbe in ogni caso passata sotto amministrazione di altro capoluogo a prescindere – il discorso era già chiuso. Grazie alla fiducia concessa al governo e senza nemmeno fare una trattativa concreta per stralciare il capitolo riguardante l’ente locale che si andava a ridiscutere e accorpare. Se i chilometri quadrati non ci sono e la popolazione nemmeno… bisognava puntare su qualcos’altro. Politicamente parlando la casta non accettava l’eliminazione tout-court dell’ente provincia, appellandosi alla Costituzione, ma il governo Monti, senza un risultato sull’argomento spinoso, non avrebbe sopportato un calo di immagine: si sarebbe dovuto intervenire per esempio indicando come prioritario un parametro economico, così il Pil prodotto dal Monte avrebbe sovrastato tutti e zittito ogni contestazione.
Abbiamo passato tutta l’estate sentendoci raccontare l’illusione della Fortezza, in cui si diceva prima che Siena non sarebbe stata abolita, poi che sarebbe stata il capoluogo della Toscana meridionale. La patetica raccolta di firme contro l’abolizione della provincia senese è sempre lì sul sito internet del PD locale a memoria futura “per Siena capoluogo” (sienapartitodemocratico.it). Bisognava dire subito che la partita era perduta invece di illudere la gente, che ha pure firmato invano. Un 2012 terribile per il partito di governo a Siena. E oggi tira un po’ di somme anche il Sole 24 Ore, titolando a proposito “Senza provincia, il Monte scricchiola”. Cesare Peruzzi conferma tutte le nostre impressioni al riguardo: “Il terremoto che ha investito le province, in modo particolare quelle toscane (da 10 a 4 per decisione del Governo), scuote alla base l’edificio della Fondazione Monte dei Paschi, già duramente provato dalle vicissitudini finaziarie degli ultimi anni. La scomparsa del secondo (per importanza) pilastro su cui poggia l’Ente di Palazzo Sansedoni, cioè la Provincia di Siena che sarà accorpata a quella di Grosseto, ha come conseguenza certa la necessità di riscrivere lo statuto del principale (34,9%) azionista di Banca Mps”. E senza sindaco, che ha dato le dimissioni nella scorsa primavera, e con una Deputazione in scadenza e moralmente non qualificata a dare istruzioni alla città, la resa dei notabili locali a che si disegni altrove il destino di quella che fu – per breve tempo – la terza banca del paese, è completa.
Capovolto il teorema andreottiano “il potere logora chi non ce l’ha”? Anche se non darà erogazioni per anni, come al contrario ha fatto una Fondazione ridimensionata come quella CrT (65 milioni nel 2012, valore patrimonio 1,9 miliardi) o la Cariplo di Guzzetti (148 milioni per il sociale, per sè stesso si è consigliato meglio di quello che ha fatto il suo vicepresidente di San Gimignano), Palazzo Sansedoni può ancora recitare un ruolo nel territorio senese. L’assenza di un dibattito pubblico sul futuro della Fondazione MPS, e l’azione inquietante di Mancini e Pieri che lasciano trasparire brevi comunicati in cui rassicurano che stanno lavorando per noi senza dire come e per cosa, è un’altra prova del declino completo della città di Siena.