Con la nazionalizzazione maggiori garanzie per tutti. Tranne che per loro
SIENA. Sull’aumento di capitale e l’ingresso di nuovi soci – i favolosi hedge fund americani – si sta scrivendo di tutto e di più in questa giornata di borsa che naturalmente vede salire il valore del titolo (sempre a numeri centesimali: evitare moti di soddisfazione impropri). Tanto gli speculatori domani o entro la settimana passeranno all’incasso e il prossimo lunedì risaremo punto e a capo. Però tutti leggono nella catena di dimissioni per motivi personali che agita il CdA del Monte dei Paschi che una strada si è imboccata e che i perdenti stanno per salutare. Che senso ha tutto ciò? Chi ha azioni svalutate in mano – se il piano di risanamento del Tandem andrà a buon fine – vedrà mitigate almeno le perdite nel valore facciale del titolo pur rimanendo con una quota più che dimezzata rispetto all’attuale: perché andarsene Campaini e Gorgoni? Infatti Axa non se ne va…
Su L’Espresso, Camilla Conti scrive della guerra, naturalmente politica, sul futuro di MPS. “Profumo e Viola sono disposti a tutto pur di non ritrovarsi sotto il controllo statale” chiosa la giornalista pensando alla mancata riuscita del Piano Industriale e alla conversione dei Monti bond in azioni. “Il tandem (scrive proprio così la Conti, un omaggio a chi ha coniato questo termine forse? -ndr) può contare sul sostegno del ministro Saccomanni, mentre il presidente del Consiglio Letta avrebbe una posizione diversa”. Avevamo spiegato a suo tempo che quella di MPS era una nazionalizzazione non dichiarata (come la guerra italiana in Afghanistan, per capirsi), di cui chi si avvantaggiava erano altri, non Siena né i dipendenti della banca né i clienti. Infatti la Conti dichiara “Nazionalizzare la banca significherebbe potersi permettere una mano più leggera sul fronte degli esuberi, con ovvie ricadute elettorali. E anche garantire un ruolo alla squattrinata Fondazione che con una soluzione di mercato si ritroverebbe fuori dai giochi. Ecco perchè fonti romane riferiscono all’Espresso che la scadenza del 14 novembre sarebbe la stessa data dal governo a Profumo per trovare un alleato”.
Ci piace constatare che le nostre opinioni cominciano a trovare comprensione. E’ evidente che il chiaro ombrello dello Stato/padrone avrebbe evitato la fuga di una parte dei depositi della clientela, che ora possono ancora negare, ma che prima o poi dovranno comunicare agli investitori come società quotata in borsa. E magari avrebbe garantito un utilizzo diverso della liquidità per soccorrere il tessuto economico, visto che in tutta Europa si dice sia ripartita la ripresa economica. Tranne che in Italia… forse anche il trattamento degli esuberi avrebbe avuto una modalità d’urto meno “fantozziana” ma più coerente con il modus operandi delle altre banche europee. Inoltre si sarebbe risparmiata una gigantesca perdita di tempo e di risorse che sono state profuse nella lotta contro la Commissione UE che i Monti Bond li chiama aiuti di Stato e in quanto tali sono proibiti: nessun istituto di credito nella comunità europea ha un contenzioso così grosso come quello di Rocca Salimbeni. anzi tutti hanno fatto celeri azioni concrete per risanare le attività, mentre qui stiamo a discutere da due anni sulla esternalizzazione del back office, e intanto si sono presentati due bilanci miliardari, ma in rosso profondo.
E qui ritorna l’annoso e insoluto problema “prima l’uovo o la gallina”: chi ha piazzato Alessandro Profumo al vertice di MPS? Un socio che metta tre miliardi di euro per la causa Monte dei Paschi pretenderà di nominare se stesso o un suo rappresentante al posto del manager genovese, è logico. Se invece dopo il 14 novembre (presentazione della terza trimestrale alla comunità finanziaria) lo Stato, quindi Enrico Letta per esso, dovesse intervenire l’avvicendamento del presidente sarebbe giocoforza necessario, per dare il segnale di cambio di rotta. Ma se chi ha piazzato Profumo sta altrove, si potrebbe leggere questa indiscrezione degli hedge fund statunitensi come la bufala per sondare il mercato alla spinta verso i 28 centesimi di euro con cui dividere definitivamente la storia della banca da quella della Fondazione: che è quello che stanno cercando di fare da oltre un anno, quando Mancini si assunse la responsabilità di non dimettersi anticipatamente come gli avevamo chiesto “per lasciare al nuovo presidente di Palazzo Sansedoni una Fondazione senza debiti”. Sic!