"26/11: la beffa finale per città territorio e lavoratori"
SIENA. Il giorno 26 novembre 2013 passerà alla storia come quello della beffa finale nei confronti della città, del territorio e dei lavoratori del Monte dei Paschi e non solo di quelli di Siena,come qualcuno vorrebbe far credere per dividerli ulteriormente.
La convocazione improvvisa del Cda della banca, ha sancito il temuto passaggio che di fatto romperà lo storico legame fra Siena e il Monte. La storia che ha condotto a questo esito rappresenta un percorso ricco di contraddizioni e di affermazioni non sempre confermate dai fatti. Ricordiamo, infatti, che il 9 ottobre 2012 fu deliberato dall’assemblea dei soci un aumento di capitale di un miliardo, allora ritenuto sufficiente a salvaguardare la banca e la sua autonomia, cifra che adesso si è ncomprensibilmente triplicata. Non solo, i tempi previsti per l’operazione suddetta, prevedevano una diluizione nell’arco del 2014 adesso smentita con un blitz, che ha visto comunque dei distinguo all’interno del Cda.
Vorremmo inoltre comprendere come si possa coniugare lo sbandierato mantenimento della governance del Monte su Siena, con un’operazione azionaria priva di riferimenti certi e valutabili e con un contemporaneo sostanziale azzeramento del suo attuale maggiore azionista. La perplessità si fa più pressante se affianchiamo lo scenario che si va profilando con l’ipotesi di un’eventuale nazionalizzazione, da più parti valutata come una sciagura da evitare con ogni forza. Ci chiediamo infatti quali vantaggi teorici trarrebbero la città di Siena e i lavoratori dal passaggio della proprietà in mani misteriose e in balia delle turbolenze del mercato azionario, i cui confini sono ad oggi difficilmente individuabili, sia dal punto di vista geografico che finanziario. Quali sono le garanzie di questa operazione? Perché eventuali investitori non possono entrare nella proprietà alla luce del sole? Mantenere la sede della banca a Siena non è una questione meramente ideologica e campanilistica, in quanto la presenza della banca sul territorio ha influenzato positivamente l’economia della provincia e dell’intera regione. Non si tratta esclusivamente dei posti di lavoro dei bancari, ma di tutti coloro che, anche attraverso l’indotto, dal quale emergono già segnali di forte criticità e di sofferenza (vedi cassa integrazione e contratti di solidarietà), hanno avuto opportunità di reddito e di spesa alimentando un benessere generalizzato del territorio. Altra questione, ma non di minore importanza, è quella della stretta creditizia alle imprese e alla famiglie che, per quanto imputabile ad un sistema bancario nazionale sostanzialmente in crisi da eccesso di finanziarizzazione, con la scissione tra la banca e il territorio si acuirà ulteriormente.
E’ per questo motivo che mal si comprende e ancor peggio si giustifica il silenzio da partedi soggetti istituzionali che dovrebbero salvaguardare questo patrimonio accumulato inoltre cinque secoli. Ma del resto sono proprio i soggetti politici ad accusare da sempre Siena di scarsa lungimiranza e di un atteggiamento conservativo, che non apre a possibili scenari di crescita e consolidamento.
I fatti degli ultimi anni stanno dimostrando l’esatto contrario, ossia che il Monte dei Paschi e i suoi lavoratori stanno pagando passo per passo tutte le operazioni che sulla cartadovevano rendere la banca più forte e meno attaccabile. Infatti, da quando ci siamo aperti al mercato nel lontano 1995, adeguandosi, seppur per ultimi, alla famigerata legge Amato, è stata posta la prima base per il sacco di Siena. Le tappe successive, note a tutti, passano dall’operazione Banca 121 fino ad Antonveneta e ai fatti più recenti. Un percorso di crescita esasperata che non si è coniugato assolutamente con i ritorni auspicati, smentendo di fatto l’assioma che grande si coniughi necessariamente con bello forte e autonomo.
Adesso siamo evidentemente giunti al passaggio cruciale, e ancora una volta le promesse fanno presagire un’apertura al mondo della banca, con conseguente risoluzione dei problemi.
Ne deriva che le nostre perplessità permangano e anzi si rafforzino. In particolare: siamo certi che l’aumento di capitale, così come prefigurato e più volte rivisto, sia realmente sufficiente a rilanciare la banca? Siamo certi che il nuovo piano risulti credibile al mercato?
Siamo, infine, convinti che chi ora governa la banca ne abbia veramente a cuore i destini intesi nel legame imprescindibile col territorio e che voglia realmente riabilitare l’immagine di una città in tutte le sue specificità?
A tali questioni difficilmente verrà data risposta, mentre sarebbe doveroso che gli organi e le istituzioni coinvolte nelle sorti della banca, in base alle responsabilità ad essi imputabili per le nomine dei vertici, si occupino di rendere conto a tutti i portatori di interessi del loro operato, delle loro scelte, assumendosi appieno tutte le loro responsabilità.
La convocazione improvvisa del Cda della banca, ha sancito il temuto passaggio che di fatto romperà lo storico legame fra Siena e il Monte. La storia che ha condotto a questo esito rappresenta un percorso ricco di contraddizioni e di affermazioni non sempre confermate dai fatti. Ricordiamo, infatti, che il 9 ottobre 2012 fu deliberato dall’assemblea dei soci un aumento di capitale di un miliardo, allora ritenuto sufficiente a salvaguardare la banca e la sua autonomia, cifra che adesso si è ncomprensibilmente triplicata. Non solo, i tempi previsti per l’operazione suddetta, prevedevano una diluizione nell’arco del 2014 adesso smentita con un blitz, che ha visto comunque dei distinguo all’interno del Cda.
Vorremmo inoltre comprendere come si possa coniugare lo sbandierato mantenimento della governance del Monte su Siena, con un’operazione azionaria priva di riferimenti certi e valutabili e con un contemporaneo sostanziale azzeramento del suo attuale maggiore azionista. La perplessità si fa più pressante se affianchiamo lo scenario che si va profilando con l’ipotesi di un’eventuale nazionalizzazione, da più parti valutata come una sciagura da evitare con ogni forza. Ci chiediamo infatti quali vantaggi teorici trarrebbero la città di Siena e i lavoratori dal passaggio della proprietà in mani misteriose e in balia delle turbolenze del mercato azionario, i cui confini sono ad oggi difficilmente individuabili, sia dal punto di vista geografico che finanziario. Quali sono le garanzie di questa operazione? Perché eventuali investitori non possono entrare nella proprietà alla luce del sole? Mantenere la sede della banca a Siena non è una questione meramente ideologica e campanilistica, in quanto la presenza della banca sul territorio ha influenzato positivamente l’economia della provincia e dell’intera regione. Non si tratta esclusivamente dei posti di lavoro dei bancari, ma di tutti coloro che, anche attraverso l’indotto, dal quale emergono già segnali di forte criticità e di sofferenza (vedi cassa integrazione e contratti di solidarietà), hanno avuto opportunità di reddito e di spesa alimentando un benessere generalizzato del territorio. Altra questione, ma non di minore importanza, è quella della stretta creditizia alle imprese e alla famiglie che, per quanto imputabile ad un sistema bancario nazionale sostanzialmente in crisi da eccesso di finanziarizzazione, con la scissione tra la banca e il territorio si acuirà ulteriormente.
E’ per questo motivo che mal si comprende e ancor peggio si giustifica il silenzio da partedi soggetti istituzionali che dovrebbero salvaguardare questo patrimonio accumulato inoltre cinque secoli. Ma del resto sono proprio i soggetti politici ad accusare da sempre Siena di scarsa lungimiranza e di un atteggiamento conservativo, che non apre a possibili scenari di crescita e consolidamento.
I fatti degli ultimi anni stanno dimostrando l’esatto contrario, ossia che il Monte dei Paschi e i suoi lavoratori stanno pagando passo per passo tutte le operazioni che sulla cartadovevano rendere la banca più forte e meno attaccabile. Infatti, da quando ci siamo aperti al mercato nel lontano 1995, adeguandosi, seppur per ultimi, alla famigerata legge Amato, è stata posta la prima base per il sacco di Siena. Le tappe successive, note a tutti, passano dall’operazione Banca 121 fino ad Antonveneta e ai fatti più recenti. Un percorso di crescita esasperata che non si è coniugato assolutamente con i ritorni auspicati, smentendo di fatto l’assioma che grande si coniughi necessariamente con bello forte e autonomo.
Adesso siamo evidentemente giunti al passaggio cruciale, e ancora una volta le promesse fanno presagire un’apertura al mondo della banca, con conseguente risoluzione dei problemi.
Ne deriva che le nostre perplessità permangano e anzi si rafforzino. In particolare: siamo certi che l’aumento di capitale, così come prefigurato e più volte rivisto, sia realmente sufficiente a rilanciare la banca? Siamo certi che il nuovo piano risulti credibile al mercato?
Siamo, infine, convinti che chi ora governa la banca ne abbia veramente a cuore i destini intesi nel legame imprescindibile col territorio e che voglia realmente riabilitare l’immagine di una città in tutte le sue specificità?
A tali questioni difficilmente verrà data risposta, mentre sarebbe doveroso che gli organi e le istituzioni coinvolte nelle sorti della banca, in base alle responsabilità ad essi imputabili per le nomine dei vertici, si occupino di rendere conto a tutti i portatori di interessi del loro operato, delle loro scelte, assumendosi appieno tutte le loro responsabilità.
UST CISL Siena-Grosseto e FIBA CISL Siena-Grosseto