SIENA. La buona notizia per i cittadini senesi è che adesso il Monte dei Paschi non può più fallire: il Tesoro sarà ufficialmente dal 1 luglio prossimo azionista della banca per la conversione in azioni dei 240 milioni di cedola di interessi sui Monti bond, secondo la procedura individuata dalla legge che ha istituito i famigerati Nuovi strumenti Finanziari. Ovvero il boia si è strangolato con la sua stessa corda! Lo Stato italiano, a questo punto, non può mettere a repentaglio il suo buon nome sui mercati finanziari, l’investimento di Pactual e Fintech è garantito, le tre Popolari più grandi avranno il tempo di costituire la superbanca che digerirà il boccone MPS. Camminare carponi sul tappeto si è rivelata la strada del salvataggio definitivo. Chi ha fallito è il Tandem, che ha lavorato per tre anni nascondendo a tutti la verità sui conti reali della banca, mettendo di mezzo prima lavoratori e piccoli azionisti, poi nuovi investitori, che potrebbero però aver puntato i piedi per approvare il bilancio e cercare di recuperare qualcosa del maltolto profumiano. E ora mette di mezzo tutto l’establishment politico-finanziario nazionale, vanificando tutte le operazioni di copertura fatte nel passato con questo ennesimo fallimento, con la prossima promozione della signora Mansi alla guida di Confindustria, dopo la presidenza della piccola ma importante banca Federico Del Vecchio a Firenze. Ormai alla favola del grande manager ci crede solo il sodale Clarich.
Oggi si scrive l’ultimo capitolo, in ordine di tempo, di una storia di malversazioni che viene da lontano. MPS versava già in pessime acque nel 2007 e forse qualche mente brillante pensava che acquistando Antonveneta i guai si sarebbero diluiti. Per finalità puramente politiche e di consenso, come bene puntò i piedi Gabriello Mancini, i bilanci 2009 e 2010 presentavano utili fasulli – lo scrivevamo quando sembrava si dicessero eresie – per mantenere il codazzo dei questuanti come ai tempi dell’Ancien Régime. L’ultimo bilancio 2011 di Mussari scrive 4,69 miliardi di perdite; il 2012 3,17 mld; il 2013 1,5 mld; il 2014 5,3 mld. Quattro anni totalizzano 14,66 miliardi di euro: ci si sarebbe comprata un’altra Antonveneta! E se il credito facile e i derivati con le perdite ingenti non può averle fatte Profumo, è chiaro che Mussari e Vigni hanno totalizzato perdite per 32 miliardi di euro. Con la connivenza del sistema politico romano.
Il dottor Mario Draghi era chiamato a controllare dall’alto del suo ruolo di governatore di Banca d’Italia la tenuta dei conti di MPS ed è evidente dalle risultanze che non lo ha fatto. Parimenti, però, ha autorizzato l’acquisto di Antonveneta senza che Mussari avesse ottemperato ai suoi ordini, anzi, accettando supinamente a settembre 2008 in maniera acritica che i soldi volassero all’estero senza nemmeno sapere dove venivano trasferiti. Un vero protettore, non di contrada, ma della cupola politica. Lo fa ancora oggi dallo scranno della BCE: quando Viola e Mingrone ci dicono candidamente in conference call che gli è stato concesso di raggiungere un CET1 transitional ratio del 10,2%, invece dalla soglia inizialmente richiesta del 14,3%. E’ probabile che per realizzare “la soglia inizialmente richiesta” si sarebbe dovuto aumentare l’importo delle perdite, se non passare direttamente alla procedura fallimentare. Ma uno sconto agli amici si può fare. C’è un analista finanziario che ci possa spiegare le conseguenze del dover aderire al CET1 del 14,3% senza arrivare alle nostre conclusioni?