Declassamento Italia di Moody's, crisi Dexia, difficoltà Deutsche Bank e Crédit Agricole e poi?
di Red
SIENA. Giulio Tremonti a margine della riunione Ecofin di ieri (4 ottobre) in Lussemburgo ha detto: “Dipende anche dall’annuncio di nuove elezioni, che di per sé è una prospettiva di cambiamento e quindi un’apertura al futuro”. Il riferimento era Zapatero in Spagna con le elezioni anticipate al 20 novembre a cui non è candidato come concausa fondamentale per il miglior spread spagnolo nei confronti del Bund rispetto ai BTp. A Berlusconi e Bossi sono fischiate le orecchie, i commenti sono stati stizziti, ma una volta tanto la verità dei fatti è venuta fuori. Tutto mentre la giornata di borsa confermava le notizie sul futuro di Dexia, di cui si è prospettato perfino lo smantellamento e la creazione di una “bad company”. Le perdite delle borse europee, come succede ormai troppo spesso, sono state pesanti. Nella prestazione negativa dei titoli bancari di Piazza Affari, MPS non ha tratto beneficio dalla vendita del complesso edilizio al Colosseo a Roma, con -5,22% a euro 0,39, e nessun titolo ha chiuso col segno +.
Chiaramente in Europa è stato un bagno di sangue eccezionale, con la borsa di Atene ormai boccheggiante come il paese dilaniato da scioperi e violenze. L’indice borsistico ha perso un ulteriore 6,2% con le banche elleniche in caduta anche del 18% come Pireus. In giro banche europee esposte con i titoli di stato greci come Barclays e Crédit Agricole hanno accusato pesanti perdite. La situazione complessiva è chiarissima: nel complesso le borse derl vecchio continente hanno bruciato, si stima, 160 miliardi di euro, e la sera si avvia a un incerto riposo quando Wall Street inverte la rotta, grazie alle solite rassicurazioni di Bernanke, gran capo della Fed, che ha rassicurato i mercati sugli ulteriori passi che farà l’istituto da lui guidato a sostegno della ripresa economica. Nonostante abbia riconosciuto nello stesso discorso che la ripresa è stata meno robusta di quanto speravano a Washington, il Dow Jones si è impennato per chiudere le contrattazioni a +1,44%. Evidentemente l’America ha imparato a ballare il twist. Dovrebbe essere uno stimolo positivo perché nella notte le borse asiatiche si presentino alla nuova giornata con una certa fiducia. Invece subito dopo la fine delle contrattazioni americane, Moody’s ha comunicato al mondo di aver tagliato il rating dell’Italia, portandolo da Aa2 ad A2 con out look negativo. Niente di nuovo sotto il cielo, visto che Standard & Poor’s lo aveva fatto lo scorso 20 settembre con la valutazione da A+ ad A. Ormai siamo solvibili a livello di Malta, e siamo peggiori debitori di Estonia e Slovacchia. Le ripercussioni nella seduta di metà settimana appaiono già immaginabili. Che abbiano davvero creduto alle parole di Tremonti? Mentre aspettiamo che anche Fitch si accodi a prendere atto della realtà che la politica italiana e non solo ha tenuto nascosta ai mercati come la serva infingarda nasconde la polvere sotto il tappeto, non possiamo fare a meno di notare come ancora una volta le agenzie di rating non interpretino il mondo finanziario in cui sono immerse, ma siano come notai, capaci solo di ratificare il fatto compiuto. Nel documento di Moody’s si leggono chicche come “l’Italia diventa oggi molto più sensibile al rischio di shock finanziari”, oppure che ci sono “rischi materiali per le possibilità di indebitamento a lungo termine per l’Italia e in generale per i titoli sovrani dell’area euro”. L’agenzia di rating non può fare a meno di notare che “l’ambiente di incertezza è generale e il deterioramento del sentiment degli investitori può limitare l’accesso dell’Italia ai mercati del debito pubblico”, per concludere, con una nota che sembra riprendere Giulio Tremonti e suona ancora una volta come un duro voto di sfiducia per il nostro Governo, quanto siano gravi i “rischi finanziari e i rischi economici cui continua a restare esposta l’Italia”. Certo la decisione di Berlusconi di dare la precedenza al ddl intercettazioni e alla legge bavaglio su internet piuttosto che a quella sullo stimolo alla crescita economica avrà avuto sicuramente il suo bell’impatto negativo. E le banche italiane, zeppe come sono di BTp e di obbligazioni proprie, pur non avendo pressoché rischi diretti sul default greco MPS dovrebbe aver ridotto a soli 7 milioni di euro la sua esposizione con Atene), grazie alla politica economico-finanziaria di Tremonti che ha riempito il loro portafoglio, sono costrette a navigare a vista in questo mare in tempesta.
Con la fantasia che la sta contraddistinguendo ultimamente (non ultimo il report sulla fusione Intesa-MPS) il Financial Times scrive come i ministri delle finanze dell’area Euro abbiano discusso a Lussemburgo delle possibilità di coordinare la ricapitalizzazione delle banche. Visto che anche Deutsche Bank non nasconde le difficoltà, visto che vendere in primavera tutta la dotazione di titoli di stato italiani non è stata sufficiente, e che la Bce è tornata sul mercato secondario ad acquistare titoli di stato italiani e spagnoli per sostenere lo spread, visto che la situazione finanziaria delle banche francesi è ormai prossima alla resa dei conti a Parigi, non è da di escludere nel breve periodo un pesante intervento degli stati nazionali europei sulle banche, prima che i danni si facciano irreversibili come in Grecia.