"Ucciso il senso di appartenenza senese"
SIENA. Quale altro disastro deve colpirci per vedere la gente in strada a protestare? Un interrogativo che ci siamo fatti tante volte in questi ultimi mesi, in cui abbiamo assistito allo sgretolamento di una delle principali istituzioni senesi: il Monte dei Paschi.
Com’è possibile che i senesi assistano rassegnati allo smantellamento della principale risorsa economica di Siena? La crisi del Monte da tempo fa vedere le sue conseguenze: chiudono negozi, si licenzia e non si vendono più case; i Comuni della provincia non hanno più soldi e spremono di tasse i cittadini; l’indotto non esiste più, i professionisti non ricevono più incarichi dal “babbo Monte”.. e così via.
Ma è solo l’inizio del baratro, perché ancora tante famiglie fanno fronte con i risparmi che hanno giudiziosamente messo da parte. Cosa sarà Siena tra dieci anni? Dopo che il danno è stato fatto, tutti a dire che “la politica non deve entrare nella Banca”. Condivisibile se si parla di quella partitica della spartizione del potere. Del tutto contrari se si parla del diritto dei cittadini ad assumere le scelte più convenienti per la propria collettività. I senesi, magari fuori dalle bandiere di partito, hanno il sacrosanto diritto di agire per salvare quella che era una loro proprietà, espropriata proprio dalla mala-politica.
Ma il danno più grande fatto a Siena e al Monte dei Paschi è stato uccidere il senso di appartenenza senese. I montepaschini possono testimoniare che nelle filiali in giro per il mondo si respirava aria senese, che veniva proposta insieme al servizio bancario. La storia e la moralità di un popolo rappresentava le migliori garanzie cui affidare i propri risparmi e gli affari. Questa prerogativa, che era unica, è stata azzerata. Chi guida la Banca ha fatto tabula rasa della montepaschinità, con forti iniezioni di manager esterni. Si sono moltiplicate le società di consulenza, si assumono discrezionalmente dirigenti e si sta pian piano trasferendo la Banca a Milano (la nascita di Widiba è solo l’avamposto). Oggi vediamo i risultati di un Piano Industriale strutturato solo sul contenimento dei costi, senza progetti di rilancio delle attività che rappresentano l’ossatura di una banca. Non si può trasformare la banca in un’agenzia di collocamento di prodotti finanziari e assicurativi altrui.
Per questo invitiamo i senesi che hanno a cuore la propria storia a fare la propria parte. Non dobbiamo rassegnarci: scendiamo in piazza; ma anche negli ambienti di lavoro, nelle contrade, nelle associazioni, facciamo sentire la nostra voce. Chiediamo alla Fondazione che si ribelli, per quel poco che ancora conta. I commercianti e gli operatori economici, lamentino a Profumo&C. questo stato di cose. Insomma facciamo sentire il bercio una volta tanto!