I politici (nazionali e locali) hanno dimostrato di non aver capito niente
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SIENA. Oggi è stata una giornata particolare. Giornata di esami, con una coda nel primo pomeriggio, presso il Carcere di Ranza, ove dovevo esaminare uno studente, piuttosto cresciuto (non che fosse mio coetaneo ma quasi) e lì recluso, col quale abbiamo svolto il colloquio d’esame soprattutto sulla storia degli USA, sulla loro Costituzione, sui poteri costituzionalmente previsti e con uno sguardo, proprio all’ultima domanda, sulle differenze fra lo Statuto albertino e la nostra Costituzione repubblicana.
Prodromo, tutto ciò, di una seconda parte del pomeriggio, doverosamente dedicata, oltre che allo studio, ad ascoltare il discorso di insediamento del Presidente della Repubblica. Discorso alto, di tutela della Costituzione e delle Istituzioni repubblicane, con un richiamo “franco” al Parlamento invitato, con toni, giustamente perentori, a svolgere il suo dovere e a ridare dignità alle Istituzioni (il richiamo si è esteso, com’era ovvio e giusto, anche ai rappresentanti delle Regioni) sin troppo, e da lungo tempo, calpestate. Non so cosa scriveranno domani i giornali e gli autorevoli commentatori politici ma, da semplice uomo della strada, penso di poter affermare che, se da un lato si può veramente affermare che Giorgio Napolitano è davvero un uomo delle Istituzioni che incarna lo spirito e la lettera della nostra bellissima ed ancora attualissima Carta Costituzionale, dall’altro il Parlamento, riunito in seduta comune, ha nuovamente dimostrato quali livelli abbia raggiunto la nostra rappresentanza politica. Questo è il Paese dove ormai si applaude anche ai funerali (quando, francamente, non se ne sentirebbe il bisogno) e questo è il Paese nel quale la stragrande maggioranza del Parlamento, riunito in seduta comune, applaude un uomo – il Capo dello Stato da quegli stessi componenti appena rieletto – che lo sta doverosamente e, in molti passaggi, molto severamente criticando. Perché applaudivano colui che li stava fustigando? La risposta, ahimé, è sin troppo semplice. Per i parlamentari i richiami ricevuti (e si tratta di richiami, inascoltati ed ormai risalenti nel tempo) erano evidentemente dedicati ai colleghi dello schieramento opposto. Né una gran bella figura, mi si consentirà, è stata quella dei rappresentanti del Movimento 5 stelle. Non perché non abbiano applaudito (perché altrimenti sarei in contraddizione), ma perché un applauso avrebbero dovuto farlo, come dovrebbe essere (e dovrebbe essere così per tutti) al termine della “lezione” di Istituzioni pubbliche che Napolitano, Presidente della Repubblica legittimamente eletto, ha impartito a tutti, loro compresi. Tutto questo e molto altro – e lo dico con rammarico – dimostra l’imbarbarimento della vicenda politica italiana e la necessità che le Istituzioni, da considerare come res sacrae, non possono più essere oggetto di battaglie politiche che, pur legittime, debbono trovare un limite nel rispetto delle stesse: è in esse che si deve svolgere il confronto, anche duro e aspro, tra le forze politiche, rispettando fino in fondo la dialettica democratica guardando innanzitutto all’interesse generale. In caso contrario il Paese rischia di implodere.
Una analoga riflessione mi sia consentita per la nostra Città. E’ vero: siamo in campagna elettorale e le elezioni per il rinnovo del Sindaco e del Consiglio Comunale sono ormai alle porte. Credo che la Città abbia definitivamente preso contezza della situazione drammatica nella quale si trova. E’ troppo chiedere, in quest’ultimo mese, a tutte le forze politiche, ai movimenti, a chi si sta impegnando in prima persona in questa difficile situazione, uno scatto di orgoglio, una proposta positiva, una parola di speranza, evitando di continuare nell’aduso suono di offese, improperi, accuse, denigrazioni? E’ troppo chiedere che chi intende candidarsi a guidarci ci dica, finalmente, parole di verità non sul passato (perché ormai, chi prima, chi dopo, abbiamo capito) ma sul presente e sul futuro?
Ripensando alla mia giornata e a quello studente-carcerato quasi coetaneo, che non so quali colpe (sicuramente gravissime) abbia commesso, alla sua emozione (che era autentica perché espressa col tremore della voce proprio dello studente emozionato) nel rispondere alle mie domande di storia delle Istituzioni, provo un senso di sconforto. C’è chi, pur nel dolore e nella giusta sanzione, privato della libertà, tenta di risollevarsi nella dignità, anche studiando la storia istituzionale e c’è chi, godendo del grande dono della libertà (un dono, sì, perché ce l’hanno data i nostri Padri anche a prezzo della vita), ne sta facendo un uso che definire discutibile risulta eufemistico facendo strame di quelle stesse Istituzioni. Esse, tutte indistintamente, da quelle nazionali a quelle locali, ancorché colpite e, in alcuni casi, fortemente lesionate, sono la nostra casa comune. E come ogni casa vanno ricostruite con cura, generosità ed amore da tutti indistintamente. E’ una vana speranza?