Le dichiarazioni del 2008 hanno fatto storia. E basta...
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di Red
SIENA. Che la novità del giorno siano le dimissioni annunciate – seppur differite di quindici giorni circa per votare la legge di stabilità – del presidente del consiglio è fuori di discussione. Gli scenari che si aprono per la città del Palio sono ancora incerti e confusi. Innanzitutto viene a mancare un debitore, seppur di primo livello, della banca proprio in un momento in cui la sua azienda Mediaset ha chiesto un “extrafido” per combattere, si presume, la battaglia per il controllo di Endemol (produttore di Grande Fratello televisivo). Una controparte abbastanza malleabile che ha contribuito a garantire al partito (che fu di Berlinguer, Enrico) la presa su Rocca Salimbeni con la sua opposizione di carta velina in consiglio comunale, premiata da poltrone, prebende e affidamenti importanti agli amici. Poi viene a mancare il ministro dell’economia, con cui Mussari aveva intessuto uno stretto rapporto di devozione, come il sorvolare sul discorso della restituzione dei Tremonti bond e la poltrona di presidente Abi, che oggi può tornare in discussione, dimostrano con ampia facoltà di prova. Le prove generali renziane si possono leggere sia come un tentativo di ricambio generazionale del PD, che come l’annuncio della dipartenza della componente ex-Margherita dal partito ibrido, che non ha mai convinto nessuno. In entrambi i casi, avendo la città già registrato che una parte della componente ex-socialista ha raggiunto una sponda liberale come Italia Futura, il sindaco Ceccuzzi potrebbe presto trovarsi in minoranza e le porte della Fondazione, che sembrava diventato frutto proibito (come la volpe e l’uva, per intendersi), riaprirsi per qualcuno che non cosa sia la “competenza”.
Venendo a mancare i due principali competitor romani nelle nomine nell’economia, si potrà finalmente risolvere il problema internazionale chiamato Lorenzo Bini Smaghi e far contento Sarkozy. Certo che il pensiero di far felice il francese mettendosi in casa il fiorentino, che almeno di economia qualche cosa ci capisce, è una ipotesi che a Siena fa storcere naso e bocca a molti, e non per sano campanilismo. Tranquilli, il destinatario della missiva è sempre l’avvocato di Catanzaro, a cui potrebbe toccare un turno di riposo e di rimanere fuori dai giochi della politica futura. Con tutto quello che è costato alla comunità senese spingerlo fin lassù, sarebbe fine ingloriosa, ma così va il mondo.
Veniamo alle questioni di borsa, molto più attuali dei valzer delle poltrone. Il titolo MPS ha chiuso la seduta di Piazza Affari con un discreto +1,24% a euro 0,2946 (62% in meno rispetto a un anno fa).La situazione politica si rispecchia bene nel valore del differenziale bund-BTp schizzato sopra 490 punti base e rendimento del decennale al 6,7%: massima incertezza. Non ci si può aspettare di più, come dice l’analisi di Barclays che ha ridotto il rating di Rocca Salimbeni fino a 0,4 euro: “MPS sperava di poter ripagare i Tremonti bond e tornare a una crescita e a ritorni normali, ma è stata ostacolata dallo stress test dell’Eba, che ha imposto maggiori ratio patrimoniali anche per una banca retail come Mps ed ha penalizzato la sua esposizione all’Italia”, spiegano gli analisti della banca. “Seppure il processo di ristrutturazione durante la crisi è stato di successo, il costo dei Tremonti bond continuerà a diluire gli azionisti in futuro, danneggiare la ripresa del RoTE e penalizzare l’investment case”. Exane, investiment company di BNP Paribas (gente che si sente in grado di dare consigli, ndr) è più pessimista e ha tagliato a 0,35 euro.
Oggi l’ultima annotazione è per il direttore generale Antonio Vigni. In una memorabile dichiarazione del marzo 2008, il suo presidente, dichiarò alla stampa (e Milano Finanza ne fece un titolone: “se non vinco, vado a casa”), che nel 2011 la banca MPS avrebbe fatto 2,2 miliardi di utili. Ora la terza trimestrale (siamo a meno uno) farà ingenerosamente calare il sipario su queste previsioni ottimistiche, buone per riempirsi la bocca di chiacchiere e vanterie ad uso del popolino. Che la crisi c’era lo sapevano bene: il fallimento di Lehmann Brothers era lì per venire dopo Bear Stearns e l’indicatore dei cds suonava a morto per molti. Eppure si sparavano grandi numeri, come mai la banca aveva fatto fino ad allora, chissà se ci credevano veramente (speriamo di no, farebbe ancora più male), tanto da azzardare “Se non riusciremo a raggiungerli andremo tutti a casa”. Peccato che “ogni promessa è un debito” sia solo un proverbio e non un pezzo di carta come quello che Sallustio tiene ben stretto tra le mani di pietra in “Piazza del Monte”. Molti sarebbero felici di passarlo all’incasso.