SIENA. La notizia che alle 12:22 del 30 gennaio, dopo la sospensione dall’asta per volatilità, il titolo MPS veleggia a 0.40 centesimi di euro e la capitalizzazione di borsa dell’istituto è inferiore all’ultimo aumento di capitale e ancora inferiore al prossimo che la BCE ha richiesto, impone una domanda di stringente importanza: Alessandro Profumo è un manager? I risultati di questi tre anni sono un disastro, e in un paese normale sarebbe già stato chiamato almeno a renderne conto al Parlamento, visto che il cosiddetto azionista di maggioranza si è fatto spennare come un pollo senza colpo ferire. Un Valentini, un Clarich, uno qualsiasi di questi sudamericani, che hanno preso un pacco degno della una trama di film di Nanni Loy, non hanno fiato per chiederne le dimissioni? Axa cosa ci guadagna in tutto questo?
Ma ritorniamo a Profumo. La sua sortita non richiesta sulla sua conferma come presidente di Monte dei Paschi all’assemblea del prossimo aprile rappresenta la fibrillazione che c’è sotto traccia. «Per restare alla presidenza ha dichiarato nei giorni scorsi – occorre combinare due volontà: quella degli azionisti e la mia. Da qui ad aprile vedremo che cosa fare. Se gli azionisti vorranno che resti e se io vorrò restare”. La partita è complessa, ma se gli azionisti vogliono un Tandem che faccia i loro interessi, l’attuale certamente li ha impoveriti. E su questo non c’è discussione.
Mps sulla graticola ci resterà almeno fino ad ad aprile, sottoposta a tutti i venti delle speculazioni: s’è visto che il mercato non crede che l’aumento di capitale prospettato (2,5 miliardi) sia verosimile, si è visto che l’incertezza su quanto faranno i soci del patto (Fondazizone in testa) non fa che accrescere l’incertezza degli altri, s’è visto che l’ipotesi di una conferma del Tandem darebbe, invece, un minimo di sicurezza, soprattutto se accompagnato da un matrimonio con una banca europea (ma va bene anche italiana). Il prossimo cda della banca è convocato per l’11 febbraio*, secondo il calendario societario. Ma è il tempo che rema contro e ce ne sono di imnimi storici da battere da qui ad aprile…
Sono state, intanto, rese note le motivazioni della condanna di Mussari, Vigni e Baldassarri nell’aver nascosto il contratto quadro (mandate agreement) di Alexandria alle Autorità di vigilanza: “non può essere frutto di coincidenze, disattenzione, fraintendimenti e negligenza, ma risponde al disegno criminoso degli imputati”, si legge. Adesso ci piacerebbe evitare di dover attendere altri cinque anni per scoprire che magari, dietro la reiterata falsificazione dei bilanci del Monte dei Paschi scambiata per incapacità di comprendere la portata delle perdite, ci possa essere stato un altro disegno criminoso come il temporeggiare per coprire le responsabilità di terze persone che potrebbero aver comandato Mussari & C. ad eseguire l’acquisto di banca Antonveneta e la politica del credito facile agli amici. Secondo i giudici, Mussari non sarebbe affatto quello sprovveduto avvocato che non era in grado di comprendere le carte che gli facevano firmare.
Troviamo quindi ancora più motivi per affermare che la situazione patrimoniale e finanziaria di MPS pretendeva già nell’aprile del 2012 la nazionalizzazione della banca e l’arrivo a Siena di un commissario governativo, come successo alla Parmalat con Enrico Bondi, per salvare quello che c’era da salvare, richiedere indietro i soldi, tra Milano, Roma e la Puglia a chi ha dissanguato la banca, revocatorie e tutto quello che occorre. Invece il triennio di Profumo ha già mandato in prescrizione una valanga di crediti, chiuso in perdita una quantità incredibile di operazioni dubbie. E’ la logica che parla, quella che a suo tempo ci fece scrivere che Mancini non doveva coprire l’aumento di capitale del 2011. Oggi la Fondazione avrebbe ancora un paio di miliardi tra contanti e partecipazioni azionarie, e Gabriello da San Gimignano avrebbe ottemperato al compito principale che gli aveva chiesto il codice penale: la diligenza del buon padre di famiglia. Peccato che sia una formula buona per la letteratura forense, di cui non si trova mai traccia nelle sentenze. Forse, se presa in considerazione, i tre anni e mezzo che hanno dato agli imputati dell’Alexandria sarebbero stati i sette che aveva chiesto la Procura.
*Il calendario è consultabile qui