Un segnale forte, quasi da fantafinanza...
di Red
SIENA. Il presidente della Fondazione MPS continua a ripetere che non risponde alle domande e non racconta a nessuno cosa stanno combinando in Palazzo Sansedoni per riservatezza e perché, a suo dire, “tutte quelle parole che escono quotidianamente sui giornali hanno inevitabilmente effetto sul titolo”. E’ facile opinare che, con il titolo MPS a meno di 23 centesimi alle 10 del mattino del 23 ottobre in una tendenza da encefalogramma piatto da troppo tempo, potrebbe essere che, invece, è il silenzio e l’incertezza che lor signori alimentano quotidianamente che deprime il titolo.
Vorremmo far osservare alla signora Mansi che sta usando, in perfetta discontinuità, lo stesso repertorio lessicale dei precedenti amministratori e temiamo che – come loro – scambi la riservatezza con l’omertà. Quella cosa che, nel silenzio delle segrete stanze del Monte, ha alimentato Alexandria e tutte quelle operazioni spericolate che sono alla sbarra proprio oggi, per esempio. Quella cosa che ha alimentato regalie agli amici degli amici e che sono oggetto di indagini e rinvii a giudizio, per fare un altro esempio. O, in Palazzo Sansedoni, l’aver partecipato all’aumento di capitale del 2008 sottoscrivendo materialmente i 490 milioni del Fresh che, nominalmente erano “aumento di capitale riservato a JP Morgan” e sul quale nessuno sembra voler chiedere spiegazioni all’ineffabile Gabriello Mancini, per fare un terzo esempio. Quella cosa si chiama omertà, con tutta la valenza negativa che deriva dall’accostamento del termine alla criminalità organizzata tipo la mafia. Qualcuno ama ripetere il ritornello che “a Siena si fa come ci pare” ma tutto ha un limite, ed è stato abbondantemente superato, come dicono dalle parti di Viale Franci.
Ormai otto giorni fa, il Tandem è andato in Banchi di Sotto a dare gli ordini alla Fondazione. Si è detto che occorreva vendere subito per racimolare i 350 milioni da pagare ai creditori prima che chiudano il rubinetto, realizzando altrimenti; ma il titolo “deve” superare il valore del libro di carico perché se si generassero minusvalenze i problemi potrebbero raddoppiare, facendo chiudere un altro bilancio in rosso. Si è detto: meglio vendere la partecipazione in blocco, per ottenere un premio dal compratore. Buona idea ma, ahimè, il compratore non esiste, visto che dovrebbe assumersi contestualmente il 34% circa dell’aumento di capitale deciso da Profumo, Viola e, forse, la Commissione Ue: una strada troppo dispendiosa, per chiunque si concentrerà sul capitale della banca.
La terza via di cui nessuno parla è questa: il Monte dei Paschi si potrebbe comprare il credito dalle banche che strozzano la Fondazione. Un segnale fortissimo al mercato che in Rocca Salimbeni c’è qualcuno che crede nel piano industriale che ha disegnato e si garantisce con le sue stesse azioni in pegno che l’agognato utile previsto dalle carte mandate all’approvazione di Bruxelles sarà entro il 2017 a disposizione (in quota parte, ovviamente) di Palazzo Sansedoni per onorare il debito. In fondo si riscadenzano i mutui delle case, a richiesta. In fondo all’inizio di ottobre MPS ha ristrutturato un piano di salvataggio da 200 milioni per la Tassara di Romain Zaleski, proprio il tizio che fece l’affare del palazzo di Via dei Normanni a Roma con Mussari e Vigni, che tanta notorietà ha dato a questo giornale.
C’è chi ripete che lo Stato deve salvare la banca senese per il contributo ricevuto con l’acquisto di così tanti Titoli di Stato che ora ingessano operatività e utili della banca. Altrettanto, il Monte deve contribuire al salvataggio del suo socio di maggioranza? 350 milioni sono una piccola quota dei 4,1 miliardi di aiuti ricevuti con i Monti bond a cui si devono sommare i tanti del LTRO ottenuti dalla Bce di Mario Draghi, oltre 25 miliardi di euro rimborsati in minima parte. Abbiamo fatto un esercizio di Fantafinanza? Sempre meglio della lenta consunzione a cui stiamo assistendo, che serve solo per allontanare nei tempi la definizione degli errori e delle responsabilità, in barba alla vita e alla dignità dei cittadini che hanno subìto tutto questo, anche dei dipendenti e degli azionisti piccoli della banca.
Ieri la Cassazione ha confermato che l’aereo dell’Itavia, nel 1980, è stato abbattuto in operazione di guerra. I responsabili del misfatto e chi poi ha ostacolato la ricerca della verità sono oggi salvi, perché tutti prescritti. Però una compagnia aerea, l’Itavia, è fallita e il suo proprietario, additato al tempo come colpevole perché si disse l’aereo vittima di cedimento strutturale, ha avuto la soddisfazione di essere pienamente scagionato. Dopo morto.
Siena non vuole essere l’Itavia del 2013.