Ruggine tra Profumo e Antonini. E problemi di gestione della banca
di Red
SIENA. “I rapporti erano ottimi con i precedenti amministratori, con Profumo poi sono precipitati. E forse per una vecchia ruggine tra noi. Una storia di 15 anni fa. La Popolare di Spoleto faceva parte del Credito italiano da dove a un certo punto uscimmo contro la volontà di chi la voleva acquisire, cioè Profumo. Ne uscimmo con una plusvalenza di 25 miliardi perché comprai le quote di Bps nel Ci a 70 miliardi e la rivendetti una settimana dopo a MPS a 95. Un’operazione straordinaria per lo sviluppo futuro della Popolare di Spoleto e per il mantenimento della sua autonomia. Da quel giorno, però, Profumo non mi sopporta. Sarà un caso, ma col suo arrivo MPS si è immediatamente sfilata”. Senza peli sulla lingua, Giovanni Antonini, ex presidente della Banca Popolare di Spoleto prima, ex presidente del socio di maggioranza Spoleto Crediti e Servizi poi, due volte commissariato dalla Banca d’Italia, nell’attribuire ad Alessandro Profumo, presidente in Rocca Salimbeni, la titolarità delle manovre che gli stanno portando via dalle mani la banca che ha guidato negli ultimi dieci anni.
“Qualcuno vuole mettere le mani sul gioiello del credito che in dieci anni ho creato e plasmato, passando dai 35 sportelli del 2001 agli oltre 100 di oggi, con 150mila clienti e anche ricca, con 3 miliardi di depositi e 3 di impieghi: per questo è appetibile. E alla fine ce l’hanno fatta. Ma io non mollo. Combatto”. Così Antonini dichiara a Il Giornale l’esistenza di una manovra che vorrebbe mettere la Coop umbra Centro Italia al suo posto, liquidando la storia di Scs, una cooperativa con 19mila iscritti che agisce attraverso la banca nell’erogazione al credito a famiglie e imprese, specie a quelle piccole, come le grandi banche non fanno più. L’apriscatole sarebbe l’ispezione della Banca d’Italia che non è stata tenera con l’istituto spoletino.
Clitumnus vorrebbe intervenire nell’operazione più con un aumento di capitale che con un’Opa. Con Clitumnus ci sono 13 investitori, tra cui la Fondazione CR di Perugia e quella di Orvieto e la già citata Coop Centro Italia, che farebbero la parte del leone con grossi impegni finanziari. Ma accanto ad essi ci sono altri nove piccoli investitori. Che concorrerebbero ad accrescere il patto fino ai 60 milioni necessari. ma il numero non è definitivo, perché “l’accordo è aperto ad altri investitori che siano graditi a quelli attuali fino a concorrenza dei 102 milioni”. Come si dice ora, la situazione “è liquida”.
Per Siena, questa è una storia apparentemente marginale, da guardare con distacco. Ma raccontata così è una prova ulteriore che la politica non sta lontano dalla banca senese, come Profumo cerca di far credere. E questo è un problema che ci riguarda. Come l’investimento fatto a suo tempo nella Popolare di Spoleto. Era il luglio 1998, la piccola banca umbra diventò importante per la grande banca senese, con accordi di collaborazione e con la partecipazione azionaria. Questa alleanza ha permesso alla Popolare di diventare un istituto importante con 100 sportelli e 2 uffici di Tesoreria, in cui si vendono i prodotti finanziari di MPS. Che al momento di raccogliere i frutti del lavoro ultradecennali l’investimento perda di importanza per raccogliere pochi milioni di euro che non spostano i bilanci di Rocca Salimbeni, suona abbastanza strano. Eppure nell’estate 2012, dopo aver approvato l’aumento di capitale dell’istituto, i quattro consiglieri espressi da Siena si sono dimessi dal CdA e la Banca d’Italia massacra con ispezioni e commissariamento la gestione Antonini. Tra lo sconcerto degli spoletini, che critiche al vecchio presidente non ne lesinano. Curiosamente, visto l’approccio politico alla questione, più che bancario, si deve registrare che non ci sono visibili prese di posizione da parte del sindaco Pd di Spoleto né della Regione. Poco si parla delle reali condizioni di salute della banca umbra, alle prese con problemi di redditività e liquidità di non semplice soluzione. La Popolare di Spoleto era nata nel 1895 come risposta al dissesto fallimentare di ben 5 istituti cittadini. I tanti piccoli soci della banca oggi temono di dover subire la stessa sorte dei loro avi.
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