SIENA. Certamente non è tutto oro quello che sbrilluccica, ma 72,6 milioni di euro di utile trimestrale – il primo positivo dai tempi dell’ultimo firmato Mussari/Vigni nel novembre 2011 – sono una discreta buona notizia. E’ importante che sia merito di una voce di bilancio come il trading, piuttosto che l’esito di una operazione straordinaria come la vendita del Palazzo dei Normanni di allora, quando dichiararono oltre 40 milioni. Del trading giudicheranno i mercati, sulla vendita immobiliare dovrebbe giudicare la Magistratura, ma sembra che siamo ancora lontani dal vedere dei risultati. L’amministratore delegato Fabrizio Viola si è concesso, per arrivare al piccolo utile, di rinunciare a contabilizzare subito la plusvalenza della vendita della quota di Anima Holding a Poste Italiane che si ritroverà diluita tra il secondo e il terzo trimestre, e questo dà più valore alla performance della banca MPS.
In una intervista al Sole 24 Ore però il nostro banchiere ammette che il vecchio piano industriale era sbagliato. Il che rilancia certe critiche che volevano il piano “volutamente” sbagliato per sostenere un risanamento “normale” che avrebbe evitato pesanti intromissioni di commissari esterni (la famigerata nazionalizzazione), che avrebbero potuto squarciare il velo sulla mala gestio e sui responsabili magnoni del saccheggio della banca. Chi sbaglia non paga, in Italia anzi rimane in sella. Così, per finire l’opera e nascondere le malefatte ai posteri e togliergli anche l’ardua sentenza. La parabola di Gabriello Mancini alla Fondazione MPS diventerà un classico universitario alla Facoltà di Economia politica, quando qualcuno si prenderà la briga di raccontarla. Un bell’elenco di nomi che compaiono nella lista dei crediti inesigibili sarebbe altrettanto illuminante…
Il presidente del Consiglio Renzi, che in via ufficiale non si sarebbe mai interessato del Monte, ha però aperto il varco all’aggregazione dell’istituto senese di credito con una delle migliori realtà delle Popolari e Viola il 10 maggio è saltato su questo carro. Renzi ha pure lasciato a Profumo (e alla cordata che lo ha piazzato in Rocca Salimbeni) la corda per impiccarsi, così quando sarà concluso l’aumento di capitale – altri 3 miliardi di soldi freschi – lo Stato sarà azionista per effetto della riscossione degli interessi sui Monti bond. Nessuno ha calcolato per noi il valore della partecipazione, ma quasi certamente il Tesoro sarà il primo azionista. Perfino il sindaco Valentini, che ha commesso l’errore di nominare un Clarich che se ne frega di lui in Fondazione, potrebbe rialzare la voce: lo Stato è un azionista così pesante che Profumo ha già rassegnato le dimissioni prima di farsi contestare e senza che la comunità finanziaria abbia battuto ciglio. Strano, viste le polemiche liberiste contro lo Stato-azionista che girano da qualche anno nel nostro paese, ma che conferma come la “banca di Siena” non sia mai stata la banca dei senesi, era solo propaganda.