Molte considerazioni su un articolo del Wall street Journal su Siena e dintorni
di Red
SIENA. Anche gli americani hanno capito che le difficoltà insuperabili del Monte dei Paschi risiedono nell’eccessivo stock di debito pubblico italiano detenuto in portafoglio. Il Wall Street Journal di mercoledì fa un lungo e articolato pezzo di analisi dei problemi della banca senese, che secondo loro al 31 dicembre 2010 possedeva, a fronte di un capitale di 7 miliardi di euro, la bellezza di 32,5 miliardi di titoli di stato di Viale XX Settembre.
L’appoggio dato al ministro dell’Economia Tremonti, che avrebbe potuto, volendo, garantire grandi avanzamenti di carriera per chi al contrario doveva curare gli interessi della città di Siena, avevano probabilmente spinto la dirigenza dell’istituto bancario a non usare fino in fondo la prudenza del buon padre di famiglia, ma ad acquistare una quantità di titoli superiore a qualsiasi indice di buona amministrazione – viste anche le scelte degli altri istituti di credito italiani – con la Banca d’Italia prima di Fazio e poi di Draghi a “non vedere”: se una banca non può erogare prestiti alla clientela oltre un certo limite prefissato per non indebolire i ratios patrimoniali, perché accollarsi titoli di stato italiani piuttosto che greci, che altro non sono che debiti? In crisi lo Stato, in crisi la banca; fallito lo Stato, fallita la banca.
Qualcuno ne darà una spiegazione al popolo, assumendosene la responsabilità? Qualcuno ne pagherà le conseguenze? Avendolo fatto le altre quattro principali banche italiane, il Monte dei Paschi avrebbe potuto tranqullamente tirarsi indietro.
L’operazione ha permesso al Governo di eludere per qualche tempo i problemi finanziari del Paese, scaricandoli sulle banche, ma oggi potrebbe diventare altro. Un nuovo padrone di Siena, per esempio. Infatti dopo il vertice Ue, l’European Banking Authority ci avverte che il Monte deve ricapitalizzare ancora una volta, e mentre le stime primaverili del Cittadinoonline parlavano di altri due miliardi di euro, l’aggravamento della crisi mondiale dovuta all’inazione estiva della politica ha portato il conto a 3,28 miliardi di euro.
Il WSJ parla anche della Fondazione, raccontando agli americani di un attento controllo svolto sulla banca, che ha portato all’azzeramento degli utili dai 250 milioni di euro del 2008 al nulla dei nostri giorni. Meno male che i giornalisti americani non erano presenti all’incontro organizzato il 30 settembre da Sinistra per Siena: sentendo Antonella Buscalferri dire a più di cento persone ivi radunate che “le scelte fatte dalla banca da Antonveneta in poi erano passate sopra la testa della Deputazione in qualche modo costretta a subire ed allinearsi”, (altro che essere il proprietario del MPS), avrebbero condiviso lo sconforto dell’uditorio e la mesta rassegnazione che ne è conseguita.
Gli americani sanno che la Fondazione, oltre alla rata del debito di 600 milioni fatto per coprire l’aumentino di primavera, erogherà al territorio 50 milioni di euro quest’anno e altrettanti il prossimo. Loro lo sanno e noi, come al solito, siamo nel buio profondo, nel silenzio delle stanze vuote di Palazzo Sansedoni. Gli americani sanno anche che per fare questo sono state vendute altre azioni della banca, che il controllo sul capitale sociale è sceso al 45%, che i mercati hanno fatto due più due e quindi alla Fondazione prevedono che non arriveranno quattrini dagli utili promessi da Antonio Vigni. E l’azione MPS diminuisce di valore e interesse.
Spazio per cartolarizzazioni e ristrutturazioni a Rocca Salimbeni non ce n’è più, quindi – in prospettiva – le decisioni del vertice Ue spingono l’assassino a tornare sul luogo del delitto. Avanzano la politica romana e milanese nelle stanze del Monte.
Ave Mediobanca, morituri te salutant…