Sul piano industriale si ipotizzano discrepanze con Bruxelles
di Red
SIENA. Domani (26 settembre), si apre il primo processo del caso Antonveneta-Mps. Sono chiamati a comparire davanti ai giudici Leonardo Grassi (presidente), Nadia Garrapa e Paolo Bernardinil’ex-presidente Giuseppe Mussari, l’ex-dg Antonio Vigni e l’ex-responsabile dell’area finanza Gianluca Baldassarri. i tre sono accusati di ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità di vigilanza. Secondo i pm, infatti, sarebbe stato nascosto dai tre top manager il “mandate agreement” tra Mps e Nomura per la ristrutturazione del derivato Alexandria. Un procedimento con rito immediato in cui è parte offesa Bankitalia. Difficilmente saranno presenti Mussari e Vigni, mentre pare certa la presenza di Baldassarri. Nel dibattimento si inserisce anche Adusbef, l’associazione dei consumatori che chiederà la costituzione di parte civile.
Inoltre, il 3 ottobre, scadono i termini per la presentazione delle richieste di rinvio a giudizio nell’inchiesta principale sull’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps, inchiesta per la quale sono stati notificati il 30 luglio scorso gli atti di conclusione indagini a 11 persone (fisiche e giuridiche).
Per quanto riguarda l’inatteso stop del cda dei Montepaschi sull’approvazione del nuovo piano industriale della banca da presentare alla Commissione Ue, ancorché si parli di accordo a cui manda solo la formalizzazione di alcune parti, senbra prender corpo l’esistenza di una certa distanza tra le ricieste dei Almunia e quanto vorrebbe il cda. Per qualcuno la discrepanza sarebbe tra Mef e Commissione Ue, per altri la banca vuole continuare sulla rotta delle “lacrime e sangue” proposte con il primo piano industriale.
Mentre il Monte chiede un lasso di tempo maggiore dei 12 mesi prospettati ad agosto da Almunia per l’aumento di capitale, non si trova un accordo globale nel settore “tagli”, che per l’Europa significa una riduzione degli stipendi dei manager (ma non solo), per la banca, invece, di ulteriore riduzione di personale. Cosa di cui si è parlato a proposito e a sproposito nei giorni scorsi, mettendo in ambasce ulteriormente i dipendenti del Monte. Quel che pare assodato è che va ridotto drasticamente il portafoglio di Btp (29 miliardi in pancia alla banca) per ridurre il rischio Italia.
Tornando ad uno dei punti di “frizione”, va peraltro ricordato che il commissario europeo nella sua lettera a Saccomanni nel mese di luglio scrisse che le remunerazioni dei manager dovevano avere un tetto almeno fino a che la banca no abbia restituito gli aiuti: “la remunerazione totale di ciascuno di questi soggetti non deve eccedere 15 volte il salario medio nazionale dello Stato membro dove risiede il beneficiario o 10 volte il salario medio dei dipendenti della banca”.
Per qunto riguarda i tempi entro cui effettuare l’aumenti di capitale da 2,5 miliardi – mentre la cosa non si ritiene più in discussione a Bruxelles – in Italia si discute ancora del punto di partenza, cioé se va conteggiato un anno dall’approvazione del piano o dalla concessione dei Monti Bond.
Può la Commissione UE decidere in autonomia quali sono i tempi senza sentire il Ministero dell’Economia italiano e la banca? La risposta è “sì”, ma dovrebbe per questo aprire una procedura. E questo allungherebbe i tempi. Che magari è quello che si vuole a Siena…
Inoltre, il 3 ottobre, scadono i termini per la presentazione delle richieste di rinvio a giudizio nell’inchiesta principale sull’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps, inchiesta per la quale sono stati notificati il 30 luglio scorso gli atti di conclusione indagini a 11 persone (fisiche e giuridiche).
Per quanto riguarda l’inatteso stop del cda dei Montepaschi sull’approvazione del nuovo piano industriale della banca da presentare alla Commissione Ue, ancorché si parli di accordo a cui manda solo la formalizzazione di alcune parti, senbra prender corpo l’esistenza di una certa distanza tra le ricieste dei Almunia e quanto vorrebbe il cda. Per qualcuno la discrepanza sarebbe tra Mef e Commissione Ue, per altri la banca vuole continuare sulla rotta delle “lacrime e sangue” proposte con il primo piano industriale.
Mentre il Monte chiede un lasso di tempo maggiore dei 12 mesi prospettati ad agosto da Almunia per l’aumento di capitale, non si trova un accordo globale nel settore “tagli”, che per l’Europa significa una riduzione degli stipendi dei manager (ma non solo), per la banca, invece, di ulteriore riduzione di personale. Cosa di cui si è parlato a proposito e a sproposito nei giorni scorsi, mettendo in ambasce ulteriormente i dipendenti del Monte. Quel che pare assodato è che va ridotto drasticamente il portafoglio di Btp (29 miliardi in pancia alla banca) per ridurre il rischio Italia.
Tornando ad uno dei punti di “frizione”, va peraltro ricordato che il commissario europeo nella sua lettera a Saccomanni nel mese di luglio scrisse che le remunerazioni dei manager dovevano avere un tetto almeno fino a che la banca no abbia restituito gli aiuti: “la remunerazione totale di ciascuno di questi soggetti non deve eccedere 15 volte il salario medio nazionale dello Stato membro dove risiede il beneficiario o 10 volte il salario medio dei dipendenti della banca”.
Per qunto riguarda i tempi entro cui effettuare l’aumenti di capitale da 2,5 miliardi – mentre la cosa non si ritiene più in discussione a Bruxelles – in Italia si discute ancora del punto di partenza, cioé se va conteggiato un anno dall’approvazione del piano o dalla concessione dei Monti Bond.
Può la Commissione UE decidere in autonomia quali sono i tempi senza sentire il Ministero dell’Economia italiano e la banca? La risposta è “sì”, ma dovrebbe per questo aprire una procedura. E questo allungherebbe i tempi. Che magari è quello che si vuole a Siena…