Caffè per tutti, sorvolando su tante magagne quotidiane
di Red
SIENA. L’Italia è un paese sempre più strano e irrazionale. Un ministro della Repubblica, Josefa Idem, si dimette perché coinvolta in un piccolo affare di irregolarità fiscali e illeciti edilizi (peraltro sanabili), ma per cifre molto, molto contenute forse qualche decina di migliaia di euro. Ma questo paese non trova niente da ridire su un presidente di banca che avrebbe partecipato a una maxitruffa finanziaria conclamata ai danni dello Stato e della fiscalità pubblica? Tanto che dopo l’allontanamento del manager in questione l’Unicredit ha transato con lo Stato pagando la bellezza di 264,4 milioni di euro tra multa e sanzioni. Invece della reprimenda, Alessandro Profumo ha incassato la nomina nella banca senese, mentre le indagini penali erano ormai avviate, tanto da sconsigliare Mancini di aderire alla cordata Pd capitanata dall’allora sindaco Ceccuzzi, che voleva Profumo presidente. Dove arriva la politica non è necessario il buon senso. Alla data del 23 novembre 2012 il tribunale di Milano, quando già il processo era arrivato in aula, aveva accolto le richieste delle difese optando per il trasferimento degli atti alla procura di Bologna, facendo così ripartire il procedimento dalla fine delle indagini preliminari.
Negli ultimi giorni il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna Maurizio Millo ha aumentato la confusione giuridica. Invece di fissare una data per l’udienza preliminare su Profumo e altri 19 indagati, contestando frode fiscale e ostacolo all’attività investigativa nella complessa inchiesta denominata Brontos, ha sollevato un’altra questione di competenza territoriale con Milano e ha inviato gli atti alla Corte di Cassazione a Roma. Dalla procura felsinea era partita la richiesta di rinvio a giudizio, ma secondo Millo la competenza territoriale sarebbe di Milano e non di Bologna. L’ordinanza del gip, trasferendo direttamente gli atti alla Corte di Cassazione anziché rimandarli indietro a Milano, ha anche inteso accelerare la pratica per arrivare a una decisione definitiva e allontanare il rischio della prescrizione, che dovrebbe scattare nel 2018. La signora Idem, se avesse sopportato meglio la pressione mediatica, se la poteva cavare con un nulla di fatto: basta far scorrere il tempo, in Italia.
Alessandro Profumo, così sicuro di risvegliare l’interesse degli investitori annunciando la fine dello sbarramento del 4% al voto assembleare in MPS, incassa al contrario l’indifferenza della borsa. Dall’inizio di giugno – complici anche le scelte della cattiva politica internazionale – il valore dell’azione è passata da 0,26 a 0,1873 euro: la contendibilità della banca non interessa a nessuno: forse perché non esiste. Al contrario, ad esempio, le perdite accusate da Banca Popolare di Milano, dov’è in corso una guerra sul modello di governance, dimostrano che i mercati stanno attenti alle situazioni vere e non ai castelli “farlocchi” da bassa finanza, tanto che l’amministratore Bonomi si trova in grande difficoltà. L’aumento di capitale da 1 miliardo deliberato il 9 ottobre 2012 è una esclusiva che la Fondazione ha regalato a Profumo senza nulla in cambio. Il CdA ha avuto una delega per scegliersi il socio che più gli piace e non quello che offre di più e meglio, secondo i canoni del libero mercato; mentre la scelta di chi mettersi in casa spetta, per logica e per sostanza, al padrone di casa: appunto la Fondazione. Che vi ha rinunciato.
Alessandro Profumo è stato licenziato dai soci di Unicredit perché faceva come gli pareva senza alcun riguardo per gli interessi dei soci stessi. Licenziato è la parola usata da tutti i giornali all’epoca, e la cosa più grave per il manager è che i soci, italiani e tedeschi (quindi con diversa modalità di approccio al governo di una società) fossero tutti d’accordo nel mandarlo a casa. Profumo non è un aziendalista, perlomeno non è in sintonia con gli interessi di chi rappresenta: la città di Siena che la banca l’ha coltivata per oltre 500 anni. Profumo è stato nominato dalla stessa Deputazione che prima di lui aveva nominato Mussari: c’è altro da aggiungere? Solo che i due condividono la passione per le bevande: il vino rosso targato 1472 per l’avvocato di Catanzaro, il caffè in cialda per ill manager genovese. Risultati imbarazzanti per entrambi, come può confermare qualunque direttore di filiale. La promozione delle cialde (con macchina caffè in omaggio) finisce il 31 agosto, simile a quella di chi porta un amico sul satellite televisivo o chi presenta qualcuno nella telefonia mobile.
Ci facciano conoscere i termini del successo: certo che studiare prodotti finanziari così allettanti per la clientela è una grossa fatica. Da digerire. Quasi quasi ci sta un buon caffè…
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