La relazione della Banca d'Italia e i nominati nel cda mostrano quanto a Siena non sia cambiato nulla
SIENA. Ma che succede a Siena? La sonnolenta città del Palio, nobile e ricco centro della provincia italiana, in questo inverno 2013 appare assediata da un corposo manipolo di investigatori. Cronisti (di carta stampata, radio e televisioni), esperti di finanza ma anche agenti di finanza, carabinieri, polizia, ispettori del Tesoro… fare due passi in centro senza provare un certo senso di ansia, di trepidante aspettativa… è impossibile!
I protagonisti ci sono tutti: dall’ex presidente Mussari, all’ex dg Vigni, a tutta una serie di dirigenti bancari a cui era stato dato un potere enorme. E poi c’à la politica nazionale, lo Ior, i massoni, l’alta finanza internazionale, gli amici traditori, i servi sciocchi, i voltagabbana… mancano i cavalieri della tavola rotonda e poi il romanzo di “cappa e spada” ha tutti gli ingredienti per essere un best seller. Mentre la triade dei “buoni” – i tre moschettieri della magistratura senese – cerca di trovare il bandolo della matassa tra numeri, prodotti finanziari, e-mail segrete e dichiarazioni spontanee, c’è chi tenta di scaricare il bruciante fardello di una banca ormai allo sfascio.
La discontinuità ceccuzziana, quella sostenuta da un poco convincente D’Alema, è franata sotto la carta intestata della Banca d’Italia che ha scadenzato i suoi interventi in modo quasi brutale. Dalla operazione Antonveneta (2008) alla emissione del Fresh i vertici di via Nazionale chiedono verifiche, sistemazioni, aggiustamenti, con incontri calibrati, a Roma e a Siena. Non contenti a metà 2010 avviano una verifica ispettiva che mette in luce “tensioni nella situazione di liquidità e una elevate esposizione, non esattamente misurata, a rischi di tasso”. Nelle stesse verifiche si palesa “irrigidimento degli investimenti in titoli di Stato” e compaiono una serie di operazioni di repo “con profili di rischio non adeguatamente controllati e valutati dalla struttura di Mps né compiutamente riferiti all’Organo Amministrativo”. Da queste ispezioni nasce, secondo Banca d’Italia, l’esigenza di un aumento di capitale, necessario per rafforzare il patrimonio. E’ il 29 ottobre 2010. “L’aumento di capitale – si legge nella nota emessa da Bankitalia – verrà poi effettivamente realizzato tra aprile e luglio 2011”. E’ un passaggio ben noto a Siena. In quella data, alla faccia di chi prometteva in campagna elettorale che la Fondazione Mps non sarebbe scesa sotto il 50,1 per cento, l’azionista di riferimento della banca si salassa e si indebita oltre misura.
Nel frattempo – ovvero tra ottobre 201o e luglio 2011 – la Banca d’Italia chiede un monitoraggio giornaliero dei saldi liquidi da inviare con la stessa frequenza alla vigilanza. Non contenti della qualità dei report, nel dicembre 201o viene richiesto che, ogni giorno, sia il dg Vigni a firmare le relazioni da trasmettere a Roma. La seconda ispezione di Banca d’Italia avviene nel settembre 2011. Emerge che persistono “carenze organizzative e significative” a causa di un “assetto manageriale inadeguato”. Nell’autunno 2011 “si rendono necessarie da parte della Banca d’Italia operazioni di prestito titoli al fine di consentire alla banca di ampliare il ricorso al finanziamento della Banca Centrale Europea”.
Ed ecco il passo cruciale: “il 5 novembre 2011 il Direttorio della Banca d’Italia convoca a Roma i massimi vertici di Mps e della Fondazione al fine di metterli di fronte alle proprie responsabilità e richiede al Mps una rapida, netta discontinuità nella conduzione aziendale”. Tutto questo, all’oscuro del Cda che, di fatto, appare esautorato dai vertici bancari. Nel gennaio 2012 arriva Viola e Vigni viene liquidato con 4 milioni di euro. Una cifra che fa storcere il naso all’Organo di controllo che invia una lettera di intervento ed avvia una procedura sanzionatoria.
Nel gennaio 2012, in seguito ad una nuova ispezione, viene avviata una nuova procedura sanzionatoria “nei confronti degli amministratori, dell’ex dg, dei sindaci e dei componenti il Comitato Direttivo per carenza nell’organizzazione e nei controlli interni e per violazione della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari”. Procedimento in via di conclusione.
Ad aprile cambiano i vertici della banca Mps. Si rinnova il Consiglio di Amministrazione. Mussari non ripresenta la candidatura e arriva Profumo, poco discontinuatore rispetto al suo predecessore. Secondo Ceccuzzi in questa fase si è messa in atto la sua discontinuità. Analizziamola, nomi alla mano. Così vediamo anche la politica quanto ha pesato – e pesa – nella banca.
Vice Presidente banca Mps, Marco Turchi. Un dalemiano di ferro, come il padre, passato direttamente dal ruolo di membro dei revisori della Banca a membro del Cda. Tania Groppi, anche lei nota per la sua vicinanza all’area dalemiana del Pd; Angelo Dringoli, che tutti in città sanno vicino alle liste civiche (in particolar modo Corradi e Pietra Serena) appena uscite sconfitte dalla tornata elettorale ma non così scomode, poi in Consiglio Comunale, per l’ex sindaco Ceccuzzi; Claudio Gasperini Signorini è nei revisiori, area ex socialista legato a Leonardo Pizzichi anch’egli ex revisore Mps, che lo volle in Eutelia, con il ben noto scandalo. Su di lui si sono scagliati, qualche giorno fa, anche i membri dell’associazione Confronti che, scrivendo al governatore Visco hanno chiesto di valutare la leggittimità della sua nomina, tenendo conto che “Gasperini Signorini sarebbe stato sospeso dall’Ordine dei Commercialisti dal 23 marzo al 23 aprile 2012. Al momento dell’indicazione della sua nomina, il 2 aprile 2012, era quindi sospeso dall’Ordine e non poteva essere proposto per il ruolo di sindaco revisore di Banca Mps. Nella riunione della Fondazione Mps che ha dato il via libera a Gasperini Signorini, l’unico ad opporsi fu il presidente Gabriello Mancini”. Se a questi nomi ci aggiungiamo Brandani alla Banca di Spoleto, possiamo dire, senza tema di essere smentiti, che, se si voleva attuare una qualche discontinuità, l’operazione è non solo riuscita male ma miseramente fallita.
Banca d’Italia parla anche della vicenda dei derivati dei derivati. Il contratto “quadro” che prevedeva la ristrutturazione del titolo “Alexandra” viene “rinvenuto” dalla nuova dirigenza Mps, solo ad ottobre 2012 e trasmesso a Bankitalia che nega di averne mai preso visione. Alexandria, Santorini e Nota Italia non sarebbero mai passate al vaglio del cda e neppure dei revisori contabili. Fin qui il “racconto” fatto dagli uffici di via Nazionale che oggi collaborano con i magistrati per arrivare alla definitiva chiarezza sui fatti.
Torniamo a parlare di discontinuità, in salsa senese. Possiamo dare la colpa a qualcuno di questo mancato taglio con il passato? Il gioco dello scaricabarile è divertente, molto italiano, ma non soddisfa più nessuno. L’evidenza e, se vogliamo, la sfrontatezza di certe scelte, non solo smentisce quanto l’ex sindaco ancora si incaponisce a sostenere, ma sottolinea una modalità di spartizione delle nomine che non è mai cambiata da un ventennio – o forse più – a questa parte. Sono cambiati gli assetti interni al Pd senese, sotto una operazione di accentramento del potere che ancora non trova una spiegazione (se si esclude quella troppo semplicistica che si “spalma” sulle caratteristiche personali e morali del dominus), e sono nate nuove alleanza, suggellate con incarichi di prestigio. Cosa è cambiato sotto la torre del Mangia? Di fatto, nulla. E’ una triste, dura realtà. Ma qualcuno dovrà pur dirla…
R.Z.R.