Se salta Il governo, la nazionalizzazione sarebbe un passo obbligato
di Red
SIENA. La tripla bocciatura consecutiva incassata dovrebbe far riflettere molti sulla reale condizione della banca MPS e sulle reali intenzioni di chi la guida. In rapida successione, prima quella europea sui Monti bond, poi quella del Senato chiamato a modificare la natura e l’operatività degli stessi; con la terza si è toccato il fondo, con il declassamento di S&P a titolo spazzatura. Forse è l’ora di convincere il presidente di non essere la persona più indicata per traghettare la banca verso un qualsiasi futuro possibile. In più in queste ore i problemi di sopravvivenza del governo Monti (astensione del Pdl sul decreto sviluppo, ritorno della candidatura Berlusconi, risalita inopinata dello spread), rendono ancora più complicata l’azione di approvazione dei bond entro i termini perentori, passati i quali tutto è perduto. Le fondamenta del Piano Industriale fanno acqua da tutte le parti e riportano il problema alla sua natura. Distolti dalle controversie sindacali, importanti per carità umanamente e professionalmente, ma irrilevanti nella progettazione di un futuro per il Monte come azienda, bisogna ritornare a parlare della sopravvivenza dell’istituto. Quello che colpisce in queste ore è il silenzio di Viola verso i colleghi, visto che fino a questo momento attraverso il Filo Diretto aveva sempre ribattuto colpo su colpo. Oggi si tace. A questo punto, anche per gli analisti più neutrali, non è facile capire quali siano gli intenti politici di Profumo e in favore di chi faccia la sua corsa.
I risultati del primo anno di gestione – benché per chiudere un anno manchino ancora molti giorni – sono negativi: ulteriori perdite già messe in bilancio, perdite previsionali su derivati da cui la banca sembrava immune, aumento dei costi del personale, mancanza di idee e di prodotti per vedere rifiorire gli sportelli, conflittualità con i dipendenti (là dove esisteva una pax sociale affermata se non acquiescente verso la Direzione Generale). Profumo non lavora per Siena: chi ha commentato il momento di transizione nella proprietà dell’istituto ritiene che entro poco tempo l’incidenza della Fondazione MPS – che è l’unica che esprime e rappresenta la città di Siena – sarà pari a zero o comunque irrilevante. Non lavora per il libero mercato, anzi si è preso il diritto di scegliersi il partner industriale che riterrà più opportuno con l’aumento di capitale autorizzato a tempo indefinito. Non lavora per sostenere la banca: è palese che i 3,4 miliardi chiesti di come prestito allo Stato siano insufficienti a sanare i problemi di solidità finanziaria. Standard & Poor’s è solo una certificazione a posteriori. Gli aiuti sono già aumentati a 3,9 miliardi, e si era partiti dagli 1,9 dei Tremonti bond. Se in Italia esistesse il libero mercato, MPS sarebbe già fallito, la clientela garantita dal Fondo Interbancario, la Banca d’Italia già intervenuta per far assorbire l’istituto dal sistema con l’ormai famoso spezzatino delle attività che abbiamo visto in molti casi. L’unica via d’uscita sarebbe appunto la nazionalizzazione, ora e subito. Anzi era meglio prima, meglio prima dell’estate 2011. Senza l’ultimo devastante aumento di capitale una Fondazione autosufficiente, benché ridimensionata, saprebbe bene come fare gli interessi della collettività che nel caso di questo istituto bancario esiste da sempre, ma è stata messa sotto i piedi dagli interessi diversi di chi doveva proteggerla. Allora l’intervento dello Stato sarebbe stato quantificabile in non meno di 5 miliardi di euro, così da anestetizzare gli effetti negativi dei BTp in portafoglio e valergli il 51% del capitale sociale. E tutte le intemperie dell’economia e della finanza sarebbero state assorbite da un Piano Industriale possibile e indipendente dalle variabili dei mercati.
Per chi lavora Profumo? L’assenza di una controparte autorevole nella discussione sul futuro, grazie alla mancanza di un sindaco dimessosi ad arte e all’annullamento della Fondazione con la manifestazione di accettazione del Piano del Tandem, priva la città di informazione corretta e di consapevolezza dei termini della questione. Fuori Siena sono convinti che si stia difendendo l’attuale composizione societaria. Non conoscendo in profondità le caratteristiche del potere in salsa senese, non hanno pensato che potrebbe essere possibile che dietro la facciata ci sia una lobby (di partito?), che stia tirando a campare nell’attesa che la probabile vittoria elettorale in primavera di Bersani porti in dote quei 6 miliardi che oggi, a distanza di un anno, si possono ipotizzare con scarso margine di errore necessari alla sopravvivenza di Rocca Salimbeni. E certamente il nuovo governo deciderà a chi passare la proprietà della banca: nell’estate 2013 non si prevede grande ressa nella corsa a prendere il posto di Gabriello Mancini a Palazzo Sansedoni. Spiegando così molte cose.