di Red
SIENA. Il peccato originale degli esponenti del Pd senese è quello, già dal 2004 (quando ancora erano Democratici di Sinistra), di essere così appiattiti sulla figura di Giuseppe Mussari – e di chi lo aveva scientemente messo da Roma (dove governava il tandem D’Alema-Fassino) a fare il mestiere che non sapeva fare – che neppure uno, tra gli esponenti di punta, si sia messo a seguire l’ascesa del sindaco di Firenze Matteo Renzi. Passati gli anni e costruite le relazioni con il solo presidente Rossi, al momento della conquista del potere interno da parte del club della Leopolda i nostri finissimi politici locali si sono ritrovati tutti all’opposizione interna. Tanto che il giro di valzer tentato da Valentini da sindaco per accreditarsi, il famoso sms sulle nomine al Monte, è un autogol che lancia il nuovismo renziano e lascia in braghe di tela i nostri, che vedono scappare banca e potere.
La gattopardiana rivoluzione di un altro tandem, Profumo-Viola, orchestrata dai soliti noti per cercare di salvare il salvabile, tenendo tutti il più possibile all’oscuro dei fatti veri e delle ruberie assortite (l’elenco dei maggiori debitori della banca è sempre top secret, ad esempio), ha partorito un discreto lavoro almeno fino a quando questi oppositori interni hanno garantito la governabilità renziana. Attualmente il governo Renzi è il quarto più longevo nella storia della Repubblica italiana ma come sappiamo tutti la composizione della maggioranza è diversa da quella iniziale e questo ha contribuito al licenziamento del tandem e del sostituto “poco tempore” Tononi. D’altra parte è dalla caduta di Bassanini (casualmente eletto a Siena più volte, l’ultima al Senato fino al 2007) nel luglio 2015 che la resa dei conti con l’opposizione dalemiana nel Pd si è resa evidente. E che contemporaneamente è cominciato il cheek to cheek tra Matteo Renzi e Denis Verdini.
Gioco facile, allora, quando Viola ha tentato di forzare la mano per fare l’aumento di capitale in autunno, farlo fuori e sostituirlo con Marco Morelli. E non per un giudizio sulle sue capacità manageriali o meno. Il casus belli è stata la contemporaneità dell’aumento di capitale con la votazione del referendum. Come ha spiegato Oscar Giannino stamattina ne “I conti della belva” su Radio 24, la realizzazione del piano di Viola necessita del bail-in, ovvero che gli obbligazionisti diventino soci della banca per una cifra superiore a quella che verserà lo Stato, che così eviterà qualsiasi contestazione della UE sugli aiuti di stato. Solo a questo punto gli investitori internazionali avrebbero la prova provata che anche questo aumento di capitale non verrà azzerato nel giro di un anno dai nuovi aggiustamenti di bilancio causati da “scoperte dell’ultima ora”… garantendone il successo.
Il problema più grosso per Renzi sarebbe stato che, non avendo un referente storico nel Pd senese, non avrebbe saputo chi mettere a capo della banca! In questo buco sarebbe stato facile per Verdini infilarsi e consigliare qualcuno che, se non si potrà dichiarare “un suo uomo”, sicuramente ne è molto vicino, conosce i meccanismi interni dell’istituto, non ha bisogno di tempo per capire quello che non conosce. Vicino anche per gli affari pregressi quando Morelli era dirigente in Rocca Salimbeni e concedeva agli amici di Denis finanziamenti che gli sono costati la multa di Banca d’Italia per 208.000 euro. Per inciso, Bankitalia a suo tempo informò di avere elevato la multa, ma poi si è ben guardata dal fare sapere alla collettività se sia stata pagata e da chi – temiamo che sia toccato al Monte dei Paschi stesso! Ma così l’aumento è rinviato a primavera, e il governo può concentrarsi sul referendum. Alla faccia della discontinuità proclamata da Padoan appena ventiquattro ore fa!
Il Monte quindi si salverà, perché così vuole la BCE, tornata in posizione di forza da quando si è indebolita quella della Merkel. Come avevamo ampiamente previsto da anni, la Deutsche Bank versa in una situazione anche più grave di MPS e per il suo salvataggio “sotterraneo”, visto che in Germania i panni sporchi si sanno nascondere meglio che in Italia, occorre la benedizione di Draghi. Infatti di pari passo sono saliti di intensità i peana renziani per una revisione delle regole comunitarie – cosa che qualche mese fa sarebbe stata bestemmia. Ci sarà da vedere chi sarà l’investitore princeps di Rocca Salimbeni, quello che dovrà deciderne la conduzione e la sede, dopo il bail-in. E senza una classe politica locale in grado di intervenire, nemmeno con un’azione di moral suasion, per convincere chi sarà a conservare la sede e l’operatività a Siena, già pesantemente minata negli ultimi anni. L’obiettivo minimo e vitale per la città.