Tra poco l'assemblea della Deputazione deciderà le cariche
SIENA. Sembra tutto fatto per la presidenza della Fondazione Montepaschi. Sulla poltrona che fu di Mancini si accomoderà per la prima volta una donna. Una manager determinata e – forse – in grado di dare una svolta decisiva alla Fondazione, nonostante la situazione tremenda dal punto di vista economico-finanziario. Certo la vicenda del Monte non l’aiuterà: Mansi raccoglie un’eredità davvero pesante.
Ma il cambio al vertice sarà di sicuro netto e su questo contano istituzioni e politici nella speranza che si possa ancora salvare qualcosa di questa Fondazione sbrindellata, fuori dai giochi degli aumenti di capitale e piena di debiti. Oltre a non poter contare sui dividendi della banca, la presidente dovrà fare i conti con un patrimonio “monomarca” (praticamente solo azioni del Monte nel portafoglio) e per di più vincolato a garanzia dei debiti (360 milioni) contratti per partecipare agli sventurati aumenti di capitale precedenti. Oltre a non poter effettuare le solite erogazioni, la Fondazione si trova anche a confrontarsi con le spese ordinarie… In previsione c’è la vendita di titoli del Monte per al meno il 15 per cento del pacchetto atttualmente detenuto (33,5 per cento). L’operazione di istrutturazione della banca è legata alle decisioni della Commissione Ue, che ha sottocchio il piano industriale della banca e ancora non ha preso decisioni in merito. La Ue tiene sulla corda il Monte per i famosi 4 miliardi di Monti Bond e non si pensa nemmeno lontanamente che potrebbe esserci un “niet” alla concessione, preferendo guardare con ottimismo alla questione.
Impossibilitata ad investire nell’aumento di capitale programmato per il 2014, Mansi dovrà cercare (e trovare) in tempi rapidi soci interessati ad un investimento problematico. Se ci riuscirà, anche la Fondazione ne trarrà beneficio, mantenendo un minimo di controllo su Rocca Salimbeni e quindi un po’ di senesità sulla banca.
Qui si parrà la nobilitate di Mansi. Impegno mica da poco.
Ma il cambio al vertice sarà di sicuro netto e su questo contano istituzioni e politici nella speranza che si possa ancora salvare qualcosa di questa Fondazione sbrindellata, fuori dai giochi degli aumenti di capitale e piena di debiti. Oltre a non poter contare sui dividendi della banca, la presidente dovrà fare i conti con un patrimonio “monomarca” (praticamente solo azioni del Monte nel portafoglio) e per di più vincolato a garanzia dei debiti (360 milioni) contratti per partecipare agli sventurati aumenti di capitale precedenti. Oltre a non poter effettuare le solite erogazioni, la Fondazione si trova anche a confrontarsi con le spese ordinarie… In previsione c’è la vendita di titoli del Monte per al meno il 15 per cento del pacchetto atttualmente detenuto (33,5 per cento). L’operazione di istrutturazione della banca è legata alle decisioni della Commissione Ue, che ha sottocchio il piano industriale della banca e ancora non ha preso decisioni in merito. La Ue tiene sulla corda il Monte per i famosi 4 miliardi di Monti Bond e non si pensa nemmeno lontanamente che potrebbe esserci un “niet” alla concessione, preferendo guardare con ottimismo alla questione.
Impossibilitata ad investire nell’aumento di capitale programmato per il 2014, Mansi dovrà cercare (e trovare) in tempi rapidi soci interessati ad un investimento problematico. Se ci riuscirà, anche la Fondazione ne trarrà beneficio, mantenendo un minimo di controllo su Rocca Salimbeni e quindi un po’ di senesità sulla banca.
Qui si parrà la nobilitate di Mansi. Impegno mica da poco.