Le vicende del Monte dei Paschi non paiono interessare ai senesi
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di Mauro Aurigi
SIENA. In coda davanti a un bancomat, mi si avvicina un pensionato del Monte, un ex collega dunque, e mi chiede cosa sia successo di così grave da far crollare il titolo del Monte fino ai livelli di questi giorni. Lo guardo stralunato e mi rendo improvvisamente conto che la stragrande maggioranza dei Senesi ne sa sulla questione certamente meno di questo ex dipendente della Banca. Ossia Siena ignora che la solidissima impresa che rappresentava fino a 15 anni fa ben più della metà dell’economia e della cultura cittadina, si sia ridotta, speculazione dopo speculazione, ad essere appena lo spettro di se stessa. Così come ignora che essa, da sempre predatrice, si sia oggi trasformata in preda e che prima o poi qualcuno ne farà un sol boccone. Il tutto potrebbe seriamente rappresentare il più grave rovescio per la nostra comunità dopo quello della fine della Repubblica nel 1559. Così mi sono cadute le braccia: se il popolo ignora, anzi, se sono riusciti così bene a tenerlo accuratamente all’oscuro di un simile, minaccioso e incombente evento, non c’è alcuna speranza non solo che si possa scongiurare tanta sventura, ma che se ne possano almeno punire i responsabili.
Un popolo che sa tutto di una squadra di calcio totalmente aliena (dalla proprietà ai calciatori) e che ciononostante sia capace di esaltarsi alle sue promozioni e di piangere per le sue sconfitte (certamente più di quanto farebbe per il conseguimento o la bocciatura della laurea di un proprio figlio), e sia invece del tutto disinteressato allo scippo di una cosa che gli appartiene e che rappresenta più del 50% della vita della città, non è più un popolo, ma una plebe. E una plebe i problemi non li risolve, li crea. Allora possiamo solo aspettarci di precipitare ancora.
LA PRIVATIZZAZIONE DELLA BANCA NEL 1995
Così all’ex collega ho risposto: “Oggi non è successo niente al Monte dei Paschi, è successo tutto nel 1995”. E poi, leggendo lo stupore nel suo sguardo, ho aggiunto: “Con la privatizzazione, intendo”.
Ma poiché questa spiegazione, invece di chiarirle, gli ha ulteriormente ingarbugliato le idee, non ho insistito. Ed ora mi rimorde un poco la coscienza. Così ho deciso di spiegarmi meglio, sperando che quell’ex collega mi legga.
Dunque nel 1995 il Monte, al suo 523° anno di vita come banca pubblica senese, fu diviso in due enti: la Banca, sotto forma di società per azioni, e la Fondazione, proprietaria del 100% di quelle azioni. Cosa sarebbe successo dopo quei fatti lo ipotizzò chiaramente un gruppo di cittadini che, riuniti nell’Associazione Difesa Monte, si batterono contro la privatizzazione, ma lo aveva già spiegato ben due secoli e mezzo prima lo scozzese Adam Smith, oggi ritenuto a ragione il padre della scienza economica moderna e tra i primi teorici del libero mercato (un uomo dunque rigorosamente di destra, si direbbe oggi). Era il 1776 e in Inghilterra stavano nascendo per la prima volta nella storia dell’uomo le public company, ossia le società per azioni. Ecco cosa scrisse allora Smith (cito a memoria da An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations).
“Queste società sono dirette senza controllo da individui che non impiegano il proprio denaro nell’impresa e che non possono quindi impegnarsi con la passione e l’accortezza che è naturale in chi rischia in proprio: esse vivono pertanto nella confusione e nella trascuratezza e sono destinate a poco onorevole fine”.
ELETTORI DI SINISTRA CHE VOTANO A DESTRA
Ecco allora spiegato, caro ex collega, cosa è successo al Monte dei Paschi. Ma c’era bisogno di scomodare quel mostro di Smith per capire come sarebbero andate le cose? Quel concetto è banalissimo, quasi infantile. Alla portata di tutti, dunque, ma non di coloro, Pci in testa, che prima fomentarono la privatizzazione e poi misero alla testa della Fondazione e della Banca il tipo di amministratori che Adam Smith aveva descritto (Mussari e Mancini, tanto per non far nomi; per inciso: nessuno dei due senese). Ma allora, se a buona ragione possiamo annoverare Adam Smith tra i maestri della destra moderna, dove dobbiamo mettere il Pci e i suoi dirigenti (di allora e di ora) se non, come io sostengo da molto tempo ormai, alla destra, molto alla destra dello stesso Smith? E cosa allora dobbiamo pensare di quel 55-60 per cento dell’elettorato senese che pensa di votare a sinistra e invece vota per quei politici, ma ormai più satrapi che politici, che sono la destra della destra?
La vicenda di un popolo che si mostra coralmente assai più preoccupato della retrocessione di una squadra di calcio, che non gli appartiene né tanto né poco, e resta del tutto indifferente alla minaccia di miseria (non solo) economica che grava sul proprio futuro e su quello dei propri figli, meriterebbe non la mia penna ma quella del George Orwell della Animal Farm (La fattoria degli animali).
Comunque ne vedremo delle belle.