Dalle parole di Giorgio Bocca uno spunto di riflessione
di Mauro Aurigi
SIENA. Ho più volte insistito, anche su queste pagine, sul fatto che in Italia, in totale violazione della Costituzione, non è il popolo “sovrano” che prevale sui partiti, ma sono i partiti che spadroneggiano sul popolo. E’ questa la causa di tutti i malesseri – primo tra tutti la corruzione – che devastano la nostra politica, la nostra economia, la nostra cultura, in sintesi la nostra civiltà.
In una democrazia matura è un fatto normalmente acquisito che essa sia la causa e i partiti siano l’effetto, in forza di uno dei pilastri della democrazia stessa: la libertà di pensiero e di associazione. Ma in una società che per motivi culturali e storici è involuta come la nostra i partiti, col tempo, hanno avuto buon gioco nel convincerci a rovesciare quel rapporto di causa ed effetto: sono loro l’origine e i garanti della democrazia, per cui sono loro, anzi gli uomini che li controllano i depositari esclusivi del potere.
Espropriato così il popolo della sua sovranità, i politici, senza distinzione tra destra e sinistra, per iniziare la loro carriera e quindi mirare alla conquista, conservazione e allargamento del potere personale, devono prima di tutto affrontare lo scontro con gli altri pretendenti all’interno del proprio partito. E’ uno scontro, come dire, fratricida. E in uno scontro fratricida non vince mai Abele, ma sempre e immancabilmente Caino. Ossia vince sempre il politico più prepotente, ambizioso, cinico, ipocrita, avido, astuto, sleale e privo di scrupoli (volpe e leone, come diceva il grande, insuperabile Machiavelli). In Italia abbiamo esempi eccellenti di tali confronti e dei relativi esiti (ma anche nella nostra piccola realtà locale non abbiamo scherzato!): il buon Gramsci che praticamente muore in carcere di stenti, mentre il suo “avversario”, l’algido e calcolatore Togliatti, sale ai vertici del comunismo mondiale (si è perfino più volte sospettato che il secondo, per calcolo, facesse poco o niente per evitare al primo quel triste epilogo); De Gasperi che fu costretto al ritiro a vita privata da Andreotti, Fanfani e “amici” vari; tutti i “buoni” del Psi (Achilli, Codignola…) fatti fuori da Craxi; Occhetto e poi anche Veltroni (i due “buonisti”) battuti ripetutamente dal luciferino D’Alema. Altrove le cose sono andate anche peggio: basti pensare a quante teste di avversari hanno fatto letteralmente cadere Stalin, Hitler, Mao o Castro, per non parlare di Robespierre (e per non citare la Chiesa – è un partito anch’essa – che pure, in fatto di contenuti etici e morali teoricamente dovrebbe avere il primato della “bontà”).
Ecco perché il detto “l’unico politico buono è il politico morto” non è solo un modo di dire: i politici sono tutti protervi per il semplice motivo che i più buoni di essi − come successe a Colui che è noto per essere stato il più buono di tutti, pur Esso un politico − a trentatré anni finiscono tutti crocifissi. Già questo è dunque un dato da tenere presente: in Italia il partito è una macchina infernale che seleziona i peggiori. Ossia alla fine, immancabilmente, gli amorali, i corrotti e i corruttori governano i partiti e quindi anche il Paese. Senza distinzione, ripeto, tra destra e sinistra.
E’ chiaro che per simili affermazioni vieni subito denunciato dai diretti interessati come qualunquista (chissà poi cosa vuol dire), demagogo populista, intellettualmente disonesto, protervo sostenitore dell’antipolitica. Termine quest’ultimo particolarmente ipocrita: non esiste l’antipolitica perché la gestione della res publica, comunque la si eserciti, è sempre politica (ma lorsignori dicono antipolitica ma intendono antipartito, crimine questo per loro quanto mai grave). Ciò detto è facile capire quanto mi abbia fatto piacere leggere che l’ultranovantenne Giorgio Bocca, già generoso comandante partigiano (non comunista), indiscusso decano della stampa italiana nonché personaggio dall’integra e adamantina onestà intellettuale, sia arrivato, a proposito degli attuali politicanti, a conclusioni analoghe alle mie.
Ecco un significativo stralcio delle sue dichiarazioni tratte da un’intervista apparsa sul “Il Fatto Quotidiano” il 31 agosto.
“…è la solita storia della corruzione politica: tutti i partiti, in tutte le epoche, quando amministrano hanno bisogno di soldi e li rubano … Soprattutto nulla di nuovo rispetto a Craxi”. “…alla fine della Guerra io e altri partigiani pensavamo che il Partito socialista avrebbe cambiato il modo di fare politica in Italia. Nel giro di pochi anni tutte le persone per bene e oneste sono state cacciate da quel partito. Dove sono rimasti solo i furbi e i ladri. Vuol farmi dire che la politica è cambiata? Non lo penso”. “Macché analogie (tra il PD di oggi e il Psi dei tempi d’oro, nda). Vedo un’assoluta identità … Craxi diceva: i mariuoli ci sono ma i soldi servono ai partiti. L’unica cosa che si capisce da questa vicenda è che la sinistra è la stessa cosa della destra, quanto a onestà”. “C’è poco da spiegare: rubano tutti. Tutti i politici hanno lo stesso interesse: avere il potere e fare soldi. La via è comune”. “Non c’è nessun disegno politico, questa è la cosa grave. C’è l’istinto, in chi fa politica, di usare i mezzi più facili … Mettere le mani sul denaro e corrompere. Non mi pare si tratti di altro”. “Che ha fatto Giulio Cesare quando aveva consumato il suo patrimonio? S’è fatto mandare in Spagna, dove ha rubato talmente tanto che è tornato a Roma ricchissimo. Ha armato un esercito e si è impadronito del potere. Le dinamiche sono abbastanza chiare”.
E infine alla domanda dell’intervistatore “Vede pericoli?” ecco la tranciante, inquietante risposta: “L’unico pericolo è che questa intera classe dirigente, per non andare in galera, faccia un golpe”.
Forse dobbiamo prepararci al peggio.