Due offese a Siena dal segretario del PD
La prima riguarda la convinzione dichiarata dal segretario del PD che la responsabilità principale di quanto avvenuto al Monte dei Paschi competa a noi tutti, cittadini senesi, che con il nostro “localismo”, così l’ha definito, abbiamo preteso di controllare il terzo gruppo bancario del Paese, asservendolo alla politica e fallendo clamorosamente. La medicina che adotterà, quando avrà vinto le elezioni, sarà quindi quella di ridimensionare il peso della Fondazione, dimenticandosi che ormai essa è già stata messa in ginocchio ed è destinata a conservare solo una quota azionaria marginale.
Dobbiamo replicare a Bersani che la Banca senese aveva sempre ben convissuto con la politica e che aveva saputo prosperare sia ai tempi del fascismo che in quelli del predominio democristiano e della successiva penetrazione socialista. Tutte stagioni in cui la politica, pur fortemente radicata nella Banca, sapeva darsi dei limiti ed evitava di “tagliare il ramo dove era seduta”; ed in cui la “senesità” si esprimeva in un rapporto basato sul rispetto dei rispettivi ambiti bancari e territoriali. La vera malattia, caro Bersani, non è stata genericamente la politica, ma è stato il PDS-DS-PD che, progressivamente ma molto rapidamente, nel decennio Mussari ha pervaso la gestione dell’azienda bancaria, dominato i rapporti sindacali interni, asservito la politica e la società senese in tutte le sue componenti (informazione, sport, cultura, produzione eccetera). A conclusione, ingloriosa, di questo percorso, Bersani aggiunge oggi la beffa di essere lui a rinfacciarci la colpa, che pure abbiamo, di essere stati noi senesi a consentire lo strapotere del suo partito meritandoci così di subire finalmente quello “scippo” della Banca che la “riforma Amato” non aveva saputo condurre a termine.
La seconda offesa Bersani l’ha fatta alla verità dei fatti. Fino a ieri egli poteva pure credere che Ceccuzzi avesse dei meriti nell’aver intuito la necessità di rimuovere dal Monte il presidente Mussari nonostante la stretta amicizia ed i generosi contributi al partito. Ma poi è venuto alla luce che è stata la Banca d’Italia a richiedere quel ricambio diversi mesi prima che avvenisse e che Ceccuzzi, più che meriti, ha eventualmente la colpa di aver sottaciuto i rischi che si stavano manifestando, di aver continuato a redigere i bilanci comunali come se nulla fosse, di aver osteggiato e denigrato le iniziative giornalistiche e televisive (come Report) che cercavano di squarciare il velo dell’omertà.
In presenza di questi elementi che non derivano più da opinioni, ma da autorevoli dichiarazioni istituzionali, la pretesa di Bersani di dipingere sé ed i propri uomini come artefici del cambiamento non è credibile.
Renato Lucci – IPS