Coordinamenti vs Dalla Riva: "Cerca di delegittimarci"
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SIENA. Dai Coordinamenti Gruppo Monte dei Paschi riceviamo e pubblichiamo.
Dopo l’illustrazione dei contenuti del Piano Industriale che, lo ricordiamo, prevede tagli per circa 300 milioni alle ASA “altre spese amministrative” – che comprendono anche consulenze, servizi, affitti, compensi a professionisti esterni, sponsorizzazioni, trasporti, ecc. – e circa 300 milioni sul costo del personale, le OO.SS. hanno deciso di iniziare il confronto proprio dal taglio dei costi e degli sprechi.
Infatti secondo quanto più volte affermato nelle assemblee e nei documenti sindacali, ogni sacrificio chiesto ai lavoratori deve essere accompagnato da tagli ai benefits, alle auto aziendali, alle consulenze, ai contributi affitto e trasferte non sempre coerenti con le necessità, agli stipendi del Top management.
Dopo una serie di confronti in sede tecnica su questi aspetti, che hanno trovato una parziale correzione sulla quale occorre lavorare ulteriormente, il confronto si è sviluppato sulle ricadute sul personale derivanti dal Piano Industriale.
Ricordiamo che il Piano prevede la chiusura di 400 filiali, un forte ridimensionamento delle strutture Centrali (capogruppo bancaria, Aree territoriali, delocalizzazioni derivanti dai precedenti fusioni) e periferiche (DTM che diminuiscono nel numero e negli addetti), provocando una mobilità territoriale per oltre 2.500 risorse che, secondo l’azienda, essendo disdettato il CIA dovrebbe essere gestito con un nuovo accordo.
A questo occorre aggiungere le cessioni di Asset (Biverbanca, Consumit e Leasing) e la esternalizzazione di 2.360 risorse impiegate in attività di back office sia nelle Aree territoriali che nei Poli del Consorzio Operativo. Inoltre per completare il quadro, l’azienda ha attivato la procedura ex art. 18 CCNL.
In questo contesto che interessa di fatto tutti i lavoratori del gruppo, il sindacato ha elaborato un progetto che, partendo da una distribuzione dei sacrifici solidaristica, avrebbe garantito soluzioni condivise su: mobilità del personale, tensioni occupazionali, tempi e linee guida del rinnovo del CIA, evitando nel contempo le esternalizzazioni. Tutto ciò doveva avvenire in un “accordo quadro” da sottoscrivere una volta risolto il problema delle esternalizzazioni, ritenuto come è noto pregiudiziale per il prosieguo della trattativa.
Ricordiamo che la posizione sindacale di contrarietà alle esternalizzazioni – oltre che essere coerente con le previsioni del nuovo CCNL – si basa sulla volontà di bloccare una iniziativa aziendale che oggi riguarda i lavoratori del back office, ma domani – per lo stesso concetto di attività non propriamente bancaria – potrebbe portare ad un progressivo e generalizzato coinvolgimento di molte altre attività considerate non strategiche, ma attualmente svolte all’interno della Banca.
Un ragionamento a parte merita, e ci torneremo con apposito approfondimento, la gravissima posizione aziendale sulla disdetta del Contratto Integrativo Aziendale, aggravata dalla “minaccia” di stilare un Regolamento ad iniziativa dell’ufficio personale: avremmo così la contrattazione aziendale azzerata e ridotta ad elargizioni unilaterali e discrezionali dell’azienda. Anni di conquiste normative ed economiche che se tagliate drasticamente procurerebbero un peggioramento netto delle condizioni economico/lavorative di tutti i dipendenti.
Partendo da tali presupposti, ed in ottemperanza al già citato principio di natura solidaristica, il progetto elaborato dal sindacato si è quindi basato su un concetto sostanziale, secondo il quale i tagli del costo del personale previsti dalla attivazione della procedura ex art. 18 CCNL avrebbero dovuto essere utilizzati esclusivamente per finanziare l’attivazione del Fondo esuberi, contribuendo quindi ad un sostanziale abbattimento “strutturale” del costo del lavoro già a partire dal 2013, oltre che alla risoluzione delle tensioni occupazionali.
Ricordiamo che l’azienda ha più volte dichiarato, sia per voce della Responsabile delle Risorse Umane, che dell’AD e del Presidente, che se si fossero reperiti risparmi strutturali equivalenti a quelli derivanti dalla esternalizzazione, questo progetto poteva essere accantonato. Tali risparmi dovrebbero ammontare a 86 milioni di euro che risultano dalla differenza di 166 milioni di risparmio realizzabili, secondo la Banca, con l’uscita di 2.360 risorse del B.O. e 80 milioni relativi al costo del servizio che verrebbe pagato alla nuova società.
Abbiamo quindi lavorato per la individuazione di tagli di costo socialmente sostenibili e distribuiti con la massima equità possibile, che potessero creare un montante tale da consentire l’attivazione del Fondo di sostegno al reddito che avrebbe consentito alla Banca risparmi analoghi a quelli previsti con l’ipotesi esternalizzazioni.
In questa logica, per evitare tagli che avrebbero gravato direttamente sulla busta paga, sono stati ipotizzati anche interventi sul salario differito, come una possibile riduzione temporanea dell’accantonamento annuo sul TFR e/o un rallentamento (riduzione temporanea della percentuale attualmente prevista) dell’accantonamento sul Fondo Pensione.
Inoltre – per raggiungere la cifra occorrente per far accedere al Fondo oltre 1050 lavoratori – è stata presa in esame anche la cosiddetta “solidarietà difensiva” (già prevista dal Piano Industriale per il solo taglio dei costi del personale), che prevede per tutti i dipendenti l’astensione dal lavoro e dallo stipendio per un numero determinato di giorni da attuare in un periodo di tempo definito (12/24 mesi). A questo proposito, per rendere meno gravoso il costo per i dipendenti, tali sacrifici potevano essere compensati anche con l’utilizzo, su richiesta del dipendente, delle festività soppresse .
Secondo le OO.SS., applicando questi criteri – che dovevano essere verificati e affinati nella loro proposta definitiva – si sarebbe raggiunto in termini di risparmi un risultato analogo a quello delle esternalizzazioni. Per la Banca tutto ciò non era sufficiente e – come è noto – riteneva che oltre a questi interventi fosse comunque necessaria una esternalizzazione più leggera (!) quantificata in 1600 unità. Anche sul numero dei possibili aderenti al Fondo, l’Azienda ha mostrato tutta la sua superficialità non sapendo rappresentare un quadro certo dei colleghi in possesso dei requisiti utili. Per questo abbiamo proposto di richiedere la certificazione previdenziale ai lavoratori più prossimi alla maturazione dei requisiti pensionistici, in quanto riteniamo che esista un ulteriore ed importante numero di colleghi (oltre ai 1050 ipotizzati) che potrebbero rientrare nel Fondo a partire dal 2014-2015. Inoltre – come abbiamo già evidenziato in altri comunicati – ci sono circa 650 colleghe che potrebbero scegliere di andare in pensione a 57 anni di età e 35 anni di contributi con il sistema contributivo. E’ evidente che in questo caso si dovrebbe prevedere una giusta compensazione derivante dalla penalizzazione a cui andrebbero incontro.
Questi, in sintesi, sono i contenuti su cui si è dibattuto durante la trattativa e sui quali non è stato possibile registrare una convergenza con la controparte che nella riunione del 1 ottobre ha dichiarato chiusa la Procedura. Con tale atteggiamento l’Azienda ha dimostrato nei fatti di non aver mai creduto all’impegno che a parole aveva preso con le OO.SS., ed è apparsa chiara la propria impossibilità ad evitare processi di esternalizzazione, facendo di fatto intuire di aver preso impegni diversi al di fuori del tavolo della trattativa.
Come risulta evidente, il progetto del sindacato poteva – e può tuttora – risolvere i problemi aperti, dalla mobilità al rinnovo del CIA e alla esternalizzazione del Back Office, ma se non è stato possibile chiudere la trattativa con un accordo condiviso, la causa va ricercata solamente nell’assoluta indisponibilità aziendale alla ricerca di soluzioni diverse da quelle annunciate ai mercati.
Di seguito la nota delle segreterie provinciali Siena
Abbiamo con sconcerto appreso dalla stampa che nella seduta di ieri la Deputazione Amministratrice della Fondazione Monte dei Paschi di Siena ha deliberato all’unanimità di votare “sì” a tutti i punti all’ordine del giorno dell’Assemblea Straordinaria degli Azionisti della Banca Monte Paschi che si terrà il prossimo 9 ottobre. Con tale decisione i membri della Deputazione permetteranno di far confluire nella mani del C.d.A della Banca, e soprattutto in quelle del Presidente Profumo, poteri, anche in materia di cessione di rami d’azienda, che al momento sono in capo all’Assemblea dei Soci Azionisti. La Fondazione ha perciò intrapreso una strada senza ritorno che va contro la sua stessa natura di azionista di riferimento della Banca Mps. Ci chiediamo, quindi, se i sette membri della Deputazione Amministratrice abbiano avuto piena conoscenza dei punti all’ordine del giorno dell’Assemblea del 9 che hanno deciso di approvare e soprattutto se abbiano valutato con coscienza e senso di responsabilità le conseguenze di questa scelta che noi giudichiamo scellerata per i Lavoratori della Banca e per tutta la Comunità Senese. Le motivazioni che hanno spinto la Fondazione ad assumere tale posizione non sono ancora state rese pubbliche. I membri della Deputazione hanno infatti deciso di comunicarle soltanto al momento del voto all’Assemblea dei Soci, venendo così meno al loro ruolo in termini di trasparenza e di rappresentatività nei confronti delle Istituzioni Cittadine (Comune, Provincia, ecc..) che li hanno nominati, e di conseguenza anche nei confronti della Collettività.
Il Presidente della Fondazione Mancini si troverà ad esprimere le motivazioni dei “sì” il 9 ottobre davanti a centinaia di Lavoratori della Banca Monte dei Paschi, presenti in Assemblea per votare contro le variazioni dello Statuto della Banca stessa proposti dal Presidente Profumo che porteranno un cambiamento assolutamente negativo e irreversibile.