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La voragine del Monte… la storia dice tutto

E' stato monetizzato il patrimonio dei Senesi per impinguare i ricchi azionisti privati del Monte che di quegli utili non avevano alcun merito

di Mauro Aurigi 

SIENA. A Siena e fuori di Siena pochi hanno una sufficiente consapevolezza delle spaventose dimensioni – ben oltre, molto oltre il perimetro cittadino e regionale – della voragine che la cosca partitica locale ha aperto in soli 12 anni dalla privatizzazione della Banca avvenuta nel 1995.

La stima del patrimonio del Monte fino alla data della privatizzazione, mancando ovviamente la valutazione di Borsa, non è semplice. Certo è che la Banca godesse di una floridissima salute: i “110 e lode” delle agenzie internazionali fioccavano come per nessun’altra banca. Salute che si basava su tre capisaldi. 

I TRE (EX) CAPISALDI DELLA SUA FORTUNA COME BANCA PUBBLICA

Il primo, a cui dovrebbe essere dedicato un capitolo a parte per cui ci limitiamo a citarlo, è la “senesità” che creava un rapporto particolarissimo tra dipendenti di ogni grado e azienda: questo patrimonio morale è stato subito reciso alla radice.

Il secondo è la plurisecolare capacità operativa riservata soprattutto alla piccola e media impresa, all’agricoltura, alla famiglia e agli enti pubblici. Erano ambiti questi che ne determinavano un insuperabile e assai fecondo radicamento sul territorio e la tenevano lontana dalle grosse relazioni e dalla finanza “creativa”. Anche questo tradizionale patrimonio professionale è stato profondamente ridimensionato: si pensi solo alle operazioni di fasulla ingegneria finanziaria come Banca 121 (con incorporata la finanza creativa dei 4you e Myway) e Banca Antonveneta, e ai quasi 30mld di titoli di stato sottoscritti e al ricorso sciagurato ai derivati per mascherare le perdite di bilancio.

Il terzo caposaldo erano la quantità e qualità di cespiti patrimoniali stratificati nei secoli – partecipazioni e soprattutto immobili – che ne facevano la banca più solida d’Europa. La stima di quei cespiti, soprattutto degli immobili, non è facile perché riportati in bilancio ai valori irrisori del momento dell’acquisizione e solo parzialmente, molto parzialmente, rivisti a seguito di leggi che più volte nel tempo ne avevano imposto la rivalutazione a fini meramente fiscali.

IL PATRIMONIO DEL BUON TEMPO ANTICO

Quanto potevano valere più della loro contabilizzazione ufficiale i quattro palazzi (rispettivamente del Duecento, Trecento, Quattrocento e Cinquecento) nei quali la Banca dal 1472 ha la sua sede centrale? O Palazzo Sansedoni in Piazza del Campo? E quanto i 430 ettari della Tenuta di Marinella tra la Versilia e la Lunigiana con tanto di lunga spiaggia, dune e pineta litoranea assolutamente intonse, ora sciaguratamente venduta per permettere lo scempio di una speculazione turistica assistita dalle istituzioni locali? E quanto gli splendidi Tenimenti di Fontanafredda, la più grande azienda vitivinicola del Piemonte? E quanto le duemila filiali tutte di proprietà acquistate soprattutto tra l’inizio e la fine del secolo scorso? Si pensi che moltissime di esse, e tra le più grandi, erano situate nei pregiatissimi centri storici di Firenze, Napoli, Roma, Bologna, Milano, Bari (un palazzo di ben 11 piani), Londra, Sidney, Singapore, New York, ecc. Anche questo patrimonio materiale è stato falcidiato come diciamo sotto (*).

Tanto per ancora esemplificare le difficoltà a valutare nella sua interezza il grande patrimonio reale della Banca, si pensi che tutti i cespiti mobili infrastrutturali della Direzione Generale e delle sue filiali (macchine, attrezzi, mobilio, patrimonio artistico ecc.) veniva riportato in bilancio con la simbolica cifra di 1 lira. Ciò significa che tutti gli acquisti venivano totalmente ammortizzati nell’anno in corso, riducendo così gli utili di bilancio ma aumentando di pari importo, ma in maniera occulta, il valore del capitale.

OLTRE 20 MILIADI DI EURO IL VALORE REALE DEL MONTE PRIMA DELLA PRIVATIZZAZIONE

Poiché il valore auto-attribuitosi dalla Banca pubblica nei suoi bilanci (5-6mila mld di lire) era del tutto inattendibile, nel 1995, mentre infuriava la vertenza sulla privatizzazione, così fortemente avversata dai Senesi, tentammo di ricostruirne induttivamente il valore reale e attuale, con l’aiuto di (pochi) volenterosi esponenti della Banca. Si giunse alla conclusione cauta di un patrimonio che si aggirava sui 20/25mila mld di lire (di allora!), ma furono azzardate anche ipotesi he arrivavano a sfiorare i 40mila mld. Pur attenendosi alla valutazione più cauta (20mila mld di lire) e attualizzandola all’oggi si raggiunge la cifra minima e cautissima di 20mld di euro. La cosa non è peregrina, perché chi ha vissuto i tempi immediatamente seguenti alla conversione della lira in euro (2002) deve ricordarsi che in soli tre mesi il conto del ristorante passò da 20mila lire a 20 euro, e un medio appartamento da 200 milioni di lire a 200mila euro. Si trattò praticamente del raddoppio quasi immediato del valore dei beni e delle merci, ossia del costo della vita (o, se si vuole, del dimezzamento del potere di acquisto degli Italiani). A quei 20mld di valore minimo che oggi il Monte avrebbe se avesse continuato ad esercitare la sua attività con la consueta cautela di quando era pubblico, dovremmo aggiungere gli altrettanto consueti 500mld di lire (250mila euro) di utili che il Monte privato ha smesso subito di fare (*), ma che mediamente la Banca pubblica ogni anno portava, in maniera più o meno occulta, a capitale: nei 18 anni dalla privatizzazione fanno altri 4 o 5mld di euro. E dovremmo considerate, sempre con la stessa grande cautela, un 1% di inflazione annua, che significa un incremento di valore pari a altri 3 o 4mld di euro.

E omettiamo pure di dare un valore al marchio che era considerato nel settore il più prestigioso del pianeta, nonostante le dimensioni fisiche aziendali che restavano contenute se confrontate ai colossi del credito continentali. Valga a tale proposito una considerazione per tutte: il 15.6.2008, all’atto dell’acquisizione dell’ormai boccheggiante Antonveneta, un’informativa del presidente Mussari alla Banca d’Italia dichiarava che il prezzo della banca veneta (10mld di euro) era così costituito: per meno di 1/3, ossia per quasi 3mld, dal valore reale della banca e per più di 2/3, ossia per più di 7mld, dal valore del marchio (avviamento): la Banca d’Italia non batté ciglio. Ergo: quanto dovremmo valutare il marchio MPS? In proporzione sarebbero altri 60mld di euro da aggiungere alla trentina di cui alla (cauta) valutazione di cui sopra.

17-19 MILIARDI DI EURO INGHIOTTITI DALLA VORAGINE

Limitiamoci tuttavia alla valutazione, ipotetica ma estremamente cauta, di soli 20mld che il Monte avrebbe dovuto avere oggi se fosse stato amministrato come nei 523 anni precedenti alla privatizzazione. Il termine di paragone che oggi abbiamo è quello della sua ormai consolidata valutazione di borsa, precipitata a 2mld! Dalla privatizzazione ad oggi mancano all’appello dunque almeno 18mld: un miliardo all’anno polverizzato in 18 anni! E qui non siamo più nel campo delle pure ipotesi visto che la magistratura sta indagando sui bonifici con cui sembra che l’Antonveneta sia stata pagata dal Monte e che ammonterebbero proprio a 17-19mld miliardi. Già, proprio quelli che risultano mancanti anche a noi.

Ma non abbiamo detto ancora tutto perché l’enormità del precipizio in cui la Banca è stata scaraventata dalla mala gestio della cosca politica senese potrebbe avere effetti ben più vasti e drammatici di quelli previsti per la Città e il suo territorio, ma di questo parleremo la prossima volta.

NOTA

(*) Per tutte le ragioni sopra dette, il Monte dopo la privatizzazione ha smesso di fare utili, ma non ha smesso di distribuirli generosamente. Infatti svendeva a “prezzi di mercato” il patrimonio di cui abbiamo detto – partecipazioni e immobili e perfino i mutui – accumulato da una quindicina di generazioni di Senesi e portato a bilancio a valori irrisori. Le plusvalenze che ne derivavano venivano dichiarate come utili di esercizio (poi, finito il patrimonio, si è passati alla finanza creativa per imbellettare i bilanci e continuare a distribuire utili inesistenti: le dimensioni dell’enorme ulteriore buco provocato sta ora cercando di misurarle la magistratura).

Insomma è stato monetizzato il patrimonio dei Senesi per impinguare i ricchi azionisti privati del Monte che di quegli utili non avevano alcun merito. I vecchi compagni del PCI e i vecchi amici della DC, finalmente insieme, vestiti da Robin Hood all’incontrario: togliere ai poveri per dare ai ricchi.

Coloro che li hanno sostenuti, di destra e di sinistra, ora si ripresentano tutti alle prossime elezioni comunali, tutti però opportunamente mascherati dietro a quasi tutte le liste civiche. Il fatto che ancora una volta saranno rivotati spiega da solo i motivi per cui è avvenuto quello che è avvenuto e per cui non c’è alcuna possibilità di futura ripresa (anzi). Il che risponde esattamente alla saggezza popolare del proverbio: IL MAL VOLUTO NON E’ MAI TROPPO.

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