Tante ipotesi per una governance che non è chiara sugli obiettivi
di Red – foto di Corrado De Serio
SIENA. Il problema più grande per MPS, confermato dal numero e dalla varietà di ipotesi che si leggono in giro sulla stampa nazionale, è che nessuno ha chiaro il percorso che la governance attuale di Rocca Salimbeni vuole far compiere all’istituto. Complesse strategie di mercato o ricerca di pura sopravvivenza?
Il socio di riferimento tace, accartocciato sui debiti, il suo presidente è silente, rinchiuso nelle stanze di via Banchi di Sotto. Anzi, lasciando libertà totale di manovra al CdA con l’assenza del principale riferimento che è il sindaco. Una cosa incomprensibile anche per chi conosce i meccanismi della politica, che tanta importanza ha nelle vicende del Monte.
E allora va tutto bene: Co.co.bond, Tremonti bond, vendita di Biverbanca piuttosto che degli sportelli di Antonveneta, ingresso nel capitale di Cassa Depositi e Prestiti. A furia di spararle tante e grosse è certo che qualcuno indovinerà il futuro; ma è anche certo che Profumo e Viola non danno l’impressione di aver immaginato un futuro per la banca senese.
Questa banca sostanzialmente pubblica – come è stata fino al 1996 per lunghi secoli – rimanga tale e abbia bisogno in primis dell’intervento dello Stato che curi le ferite inferte dalla falsa privatizzazione inventata nel 1995 con la nascita della Fondazione. Se ne fanno tanti, di interventi pubblici, in giro per il mondo, anche nei paesi campioni del liberismo…
MPS ha la necessità di fare pulizia totale nei suoi conti e di vedersi restituita dallo Stato la credibilità perduta nel soggiogarsi alle necessità del Ministero dell’Economia diretto da Giulio Tremonti, che solo qualche anno fa, con la compiacenza di Mario Draghi e di Giuseppe Mussari, ha riempito di 26 miliardi di euro di BTp il portafoglio della banca. Che non era attrezzata per un compito simile e dalle cui conseguenze – obbligazioni, swap, futures e derivati – si è infilata in un tunnel lungo e tortuoso, da cui non si intravede una via d’uscita senza una spinta importante.
Anche se, attraverso sofferte operazioni di maquillage, il tandem senese riuscisse a soddisfare le richieste dell’Eba e della Banca d’Italia attuale, il problema rimarrebbe invariato. Così derubrichiamo a esercizio di economia finanziaria la suggestiva proposta che viene dal periodico Il Mondo, che vedrebbe in vendita la quota del 2,5% che il Monte possiede nell’azionariato di Banca d’Italia, e che verrebbe acquistato dall’ente presieduto da Ignazio Visco. In riferimento alla “necessità” di cominciare a togliere dalle mani delle banche la proprietà dell’istituto di via Nazionale: un problema grosso da prendere con le molle, e qui invece si parla di diktat Eba con scadenza perentoria il 30 giugno.
Magari i problemi di MPS fossero nei pochi milioni del Vap dei dipendenti: meglio concentrarsi sui crediti inesigibili, provocati anche loro dall’ingerenza della politica nazionale nella gestione di Rocca Salimbeni. Zunino, Verdini, Ligresti, Mezzaroma, Lombardi Stronati e quanti altri non conosciamo vengono tutti dalle manovre nelle stanze del potere e non è il piccolo artigiano che ha chiuso bottega per la crisi, che ha provocato la voragine nel credito. Il ragioniere Mancini ha detto di “aver ubbidito agli ordini”, ma se si desse da fare per recuperare il maltolto di Stato, certo lascerebbe almeno un tardivo buon ricordo ai posteri.